Maro a cchi mòre e Pparaviso nun trova.
Povero chi muore e non va in Paradiso.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Secondo
il proverbio presentato, il Paradiso, luogo che immaginiamo di santi e
di beati, è il premio finale di una ben spesa vita e si commisera chi
tale traguardo gli è negato.
Si usa dire per chi si è congedato da quella terrena, che è passato a miglior
vita, frase che dà per scontato l'inizio di un'esistenza di
beatitudine, ma per una persona che si è comportata in modo criminale e
scellerato, immaginiamo che sia l'Inferno, se non il Purgatorio, ad
aspettarla, come luogo di eterna punizione.
Pensiamo
a come queste allegorie di luoghi immaginari, rappresentati da Inferno e
Purgatorio, costituiscano per molti la realtà della vita sulla terra,
con il credente che riesce a consolarsi, considerando come un premio, la
fine delle sofferenze in questo mondo.
Il
termine Paradiso deriva dal greco "paradeisos", che significa "parco,
luogo recintato, Giardino dell'Eden", il giardino dove Dio pose Adamo ed
Eva dopo la loro creazione.
In
alcune religioni, il Paradiso è considerato la destinazione finale;
tuttavia, in generale, con questa parola ci si riferisce ad un luogo
ideale, privo di preoccupazioni, definito anche Eden, oppure Shangri-la,
altro luogo immaginario dove gli abitanti vivono una vita semi eterna,
in una pace che non si interrompe mai.
Leggiamo tra gli scritti di Jorge Luis Borges:
“All’allievo
che gli chiede se esiste il paradiso, il maestro Paracelso risponde
dicendogli che il paradiso esiste ed è questa nostra Terra. Ma esiste
anche l’inferno, e consiste nel non accorgersi che viviamo in un
paradiso.”
Ma Paracelso
sembra ignorare che per alcuni esseri viventi, immaginare il paradiso in
terra, è un'impresa del tutto disperata, per le sofferenze a cui
vengono sottoposti, con la forza d'animo e di sacrificio che richiedono.
Riguardo al luogo che accoglierebbe le persone buone e oneste, nelle lettere ai Corinzi, Paolo di Tarso ci andava bello spiccio:
“Non
illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né
sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci
erediteranno il regno di Dio.”
Facendoci
immaginare il Paradiso come un luogo, dove le anime eccelse sono così
rare, che fai festa se riesci a incontrarti con qualcuno, come recita un
proverbio arabo, nel quale ci imbattiamo:
"Se Dio non perdonasse mai, il suo paradiso resterebbe vuoto."
E
se proprio non vuoto, molto simile a quello immaginato da San Paolo,
con le porte sbarrate per i più, concetto attenuato da un proverbio
ebraico:
"La tristezza chiude le porte del paradiso, la preghiera le apre, la gioia le abbatte."
L'Inferno,
una volta tanto minacciato dai gestori del potere definito religioso e
tanto paventato dai poveri creduli incapaci di un'autonomia di pensiero
(Che se poi ce l'avevano e la manifestavano, rischiavano di tutto e di
più, compreso il rogo), non serve ipotizzarlo chissà dove, perché si
trova in terra, nel cervello di chi la vita vede in tale modo. Persone
che quando si troveranno in un'altra dimensione la vedranno deformata
come vedevano, nella vita terrena, tutto ciò che li circondava, cose e
persone.
Per quel poco
che so, se dentro di noi c'è l'inferno, non faremo che proiettarlo verso
tutto ciò che ci circonda, cose o persone che siano. e saremo convinti
che il mondo appunto non rappresenta altro.
Ma
se invece di prendercela con le persone e le circostanze che ci
circondano, cercheremo di eliminare tutti gli atteggiamenti negativi,
anche quelli più giustificati verso le persone e gli avvenimenti che ci
hanno reso difficile la vita, la lente deformante, rappresentata dal
nostro male interiore, cesserà a poco a poco di farci vedere
rappresentazioni fuorvianti e menzognere di quello che esiste intorno a
noi, in qualsiasi posto ci si possa trovare.
Il
Paradiso, quindi, va costruito e preparato in terra, eliminando
qualsiasi sentimento negativo che opprima noi e, di conseguenza, chi ci
sta intorno, per quanto possa apparire complicato per alcuni, è il
miglior investimento che possiamo fare per il resto della vita che ci
attende e anche per il dopo.
Auguriamoci
di arrivare a quel traguardo che tutti attende, capaci dell'ironia e
del buon umore di un Voltaire che, mentre si trovava sul cosiddetto
letto di morte, un candeliere urtato appiccò il fuoco alle cortine del
letto e il filosofo borbottò "Des flammes. déjà!"
Specialmente
per chi ha raggiunto un età, che una volta pochi raggiungevano, con
tutti i malanni e gli impedimenti che può comportare, anche se non aduso
alla preghiera, può trovare, con esercizi di concentrazione e di
meditazione, un sollievo per le sue traversie che lo aiuta a ritrovare,
se non quella fisica, almeno una sanità mentale che gli migliora anche
la salute e l'aspettativa del resto della vita.
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