A necessità è ttiranna ’e ll’uommene.
Molte volte il bisogno spinge a fare cose che non si vorrebbero assolutamente fare.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
È
attribuita a San Girolamo (347-420), Dottore della Chiesa, la frase
"Facis de necessitate virtutem", ovvero far di necessità virtù, che
normalmente costituisce un invito a fare con buona disposizione d’animo e
non controvoglia, ciò che dobbiamo fare obbligatoriamente
e a tal riguardo, il proverbio ci rammenta come spesso per soddisfare
qualcosa di impellente, la virtù è l'ultima a essere osservata,
specialmente quando si cerca di riuscire a trarne un utile.
Il
tema preso in esame dall'adagio, prende in considerazione sia lo stato
di necessità da soddisfare, che la capacità di adattamento richiesta
dalla situazione.
Come leggiamo nel libro "Pensieri per una vita serena", di Amadeus Voldben (Amedeo Rotondi):
"La
legge della necessità è stata ritenuta fondamentale fin dai tempi più
remoti. È stata interpretata in vari modi dai vari popoli, ma si è
sempre creduto che ad essa erano soggetti perfino gli Dei. Per gli
orientali la legge della necessità era la legge del karma, operante a
causa della direzione impressa alla vita dalle nostre azioni: un carico,
che oltre a dirigere la nostra vita, imprime forza alle nostre azioni
nel loro svolgersi graduale".
La
necessità come forza superiore che diventa difficile evitare, può
essere fittizia e fatta sorgere dai bisogni una volta ignorati nella
società, come leggiamo negli scritti del laburista britannico Anthony
Crosland:
"Le cose che una generazione considera un lusso, la generazione successiva le considera necessità."
Come poi rileviamo in "Perché non sanno quello che fanno" dello scrittore francese. Maxence Van Der Meersc:
"L'uomo
crea a sé stesso mille necessità che gli fanno una vita da schiavo. Ma
quanto agevolmente, liberamente, si potrebbe vivere, se si rigettasse
quella somma enorme di bisogni artificiali che pesa su di noi, che ci
condanna ai lavori forzati!"
La
necessità può essere più che reale, per chi versa nell'indigenza,
mentre per altri diventa solo un vizio e non una virtù e, al riguardo,
leggiamo un allocuzione che ha del comico, tratta da "Il grillo
parlante" di Roberto Gervaso:
"C'è chi fa debiti per necessità, chi per leggerezza, chi per vizio. Solo il primo, di solito, li paga."
Perché
alla fine a pagare è sempre chi sta peggio, mentre chi si carica di
debiti che potrebbe benissimo evitare, spesso è anche ammirato e
ossequiato.
Sempre
riguardo all'argomento, uno scenario deprimente ce lo presenta nei
"Pensieri inediti", il poeta, romanziere e giornalista Remy de Gourmont:
"Siamo
arrivati a un tal grado di imbecillità, da considerare il lavoro non
solo come onorevole, ma persino come sacro, mentre non è che una triste
necessità."
Tanto da far dire all'antiquario e aforista italiano Alessandro Morandotti:
"Vivere del proprio lavoro, una necessità; vivere del lavoro altrui, un'aspirazione."
Un'aspirazione più che soddisfatta, a suo tempo, per clero e nobiltà, perché il lavoro gravava sui servi della gleba.
Riguardo
al sapersi adattare alla necessità e ai compromessi, ai quali ci si
adegua per riuscire a soddisfarla, si esprimeva con un certo cinismo, lo
scrittore e poeta Gabriele D'Annunzio
"L’uomo è sopra tutto, un animale accomodativo. Non c’è turpitudine o dolore a cui non s’adatti."
Pensiamo
infine a chi si è trovato nella vita a dover affrontare necessità
spaventose, con la vita legata a un filo che bastava un nulla per
spezzarlo, ad esempio morendo di fame, per la futilità di essere stati
derubati di un pugno di bucce di patate, lo scenario nel quale si trovò a
vivere lo scrittore Primo Levi:
"La
facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di
erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze
apparentemente disperate, è stupefacente, e meriterebbe uno studio
approfondito. Si tratta di un prezioso lavorio di adattamento, in parte
passivo e inconscio, e in parte attivo"
L'economia
politica classifica i bisogni in primari, ovvero di sopravvivenza e
secondari, o di civiltà e in una società evoluta, i secondi acquistano
lo stesso valore di necessità che, in passato, si dava solo ai primi,
sempre che riguardino l'arte, la cultura e tutto ciò che arricchisca il
sapere umano e non certo il lusso e l'apparenza, che purtroppo per molti
sono diventati inderogabili necessità, che li inducono a una
superficialità di vita per nulla virtuosa e poco edificante.
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