Oggi
- 11 maggio 2024 - sabato della VI settimana di Pasqua, la Chiesa
ricorda, tra i vari santi e beati, Sant'Ignazio da Làconi, frate minore
cappuccino. Vincenzo, questo il suo nome di battesimo, nacque il 17
dicembre 1701 a Làconi, piccolo paese quasi al centro della Sardegna,
quando l’isola era sotto dominazione spagnola (oggi in provincia di
Oristano, regione Sardegna).
Figlio della poverissima famiglia Peis, dovette lavorare duramente già
dalla più tenera età, rimanendo completamente analfabeta. Ereditò dai
genitori una forte fede, che manifestava nella limpida condotta di vita e
nell’assiduità ai sacramenti, tanto che tutti i giorni serviva la prima
messa del mattino, che allora si celebrava all'alba per i tanti
contadini e pastori che, come lui, andavano al lavoro prestissimo,
venendo soprannominato “il santarello”. Il 17 maggio 1707, quando non
aveva ancora sette anni, fu cresimato dall'arcivescovo di Oristano. Il
“santarello” si mantenne tale, stando alle tante testimonianze, anche
nell'adolescenza e nella giovinezza. Verso il 1719, quando aveva
diciotto anni circa, una malattia lo ridusse in fin di vita e, sentendo
la morte avvicinarsi, fece voto a Dio di diventare frate francescano se
fosse sopravvissuto. La sua preghiera fu ascoltata e Vincenzo guarì pur
rimanendo piuttosto malandato in salute, ma non mantenne il voto. Non si
conoscono gli eventuali motivi che portarono il giovane a “dimenticare”
la propria promessa, ma è certo che Dio non se ne scordò per niente.
Infatti, un mattino dell'autunno 1721, mentre a cavallo si dirigeva
verso il non lontano altopiano del Sarcidano, per un attimo non si
sfiorò la tragedia. Improvvisamente l'animale s’imbizzarrì senza cause
apparenti e prese a galoppare all'impazzata, gettando nel panico
Vincenzo che ne aveva perso completamente il controllo e guardava con
terrore il precipizio che costeggiava il percorso. Tuttavia, quand’era
ormai convinto che fosse giunta la sua ultima ora, il destriero
inaspettatamente si fermò da solo, lasciando il giovane spossato, madido
di sudore, ansimante e sbiancato in volto per la paura. Fu in quel
preciso momento, mentre tirava un sospiro di sollievo, che
prodigiosamente si ricordò del voto fatto a Dio e non mantenuto,
decidendo immediatamente, con assoluto convincimento, di onorarlo. Fu
così che, nei primi giorni di novembre dello stesso anno, si recò a
Cagliari, capoluogo dell’isola, presso il convento francescano di
Buoncammino tenuto dai frati minori cappuccini, chiedendo d’essere
ammesso nell'Ordine, senza però essere accettato, a causa della salute
malferma. Ciò nonostante, il Cielo lo voleva evidentemente frate, e
qualche giorno dopo, tramite i buoni uffici del marchese del quale il
padre era fattore, il 10 novembre 1721, Vincenzo indossò il saio
cappuccino, assumendo il nome religioso di Ignazio e iniziando l'anno di
noviziato, superato non senza difficoltà a causa della sua ignoranza.
In effetti, all'ultimo esame fu promosso per un solo voto, ma tanto
bastò ad ammetterlo alla professione, che emise il 10 novembre 1722. I
vent’anni che seguirono, dal 1722 al 1742, rimangono avvolti da un
silenzio difficile da scalfire. Sono poche e contraddittorie le
testimonianze su quel lungo periodo. Fu probabilmente prima in alcuni
conventi dell’entroterra di Cagliari, poi in questa stessa città, dove
giunse intorno al 1742, destinato prima al cenobio di San Benedetto e
poi a quello di Buoncammino. Fu impiegato in compiti sempre diversi,
spesso come addetto alla cucina o al lanificio, poiché non riusciva a
tenere a lungo alcun incarico. Tuttavia, dal suo arrivo nel capoluogo
fino alla morte, quindi dal 1742 al 1781, fu sempre adibito
all’umilissimo compito di frate questuante o “cercatore”, come si diceva
una volta, che consisteva nel percorrere quotidianamente le vie della
città, bisaccia in spalla, chiedendo a chiunque incontrasse un piccolo
aiuto, anche solo un pezzo di pane. Di Cagliari imparò a conoscere
finanche le pietre e i volti degli uomini. Entrò in tutte le case, in
quelle dei poveri e in quelle dei ricchi, chiedendo un tozzo di pane per
i poveri e i confratelli e offrendo in cambio un altro tipo pane,
quello spirituale del Vangelo, che annunciava in modo semplice ed
efficace, soprattutto ai bambini e alla povera gente, che da lui si
sentiva accolta e amata, compresa e difesa. È rimasta celebre, al
proposito, la lezione che fra Ignazio dette a Gioacchino Franchino, un
commerciante arricchitosi dissanguando i poveri, che voleva ottenere il
riconoscimento pubblico quale benefattore, facendogli l’elemosina.
Ignazio, però, si guardava bene dal bussare alla sua porta e lo
speculatore se ne lamentò col padre guardiano del convento, che impose a
Ignazio di chiedere l'elemosina anche dal trafficante. Ignazio a
malincuore obbedì e bussò anche alla sua casa, ottenendo la carità.
Accadde allora un evento prodigioso: appena uscito dalla dimora del
ricco profittatore, dalla bisaccia ove raccoglieva le offerte ricevute,
contenente l'elemosina di quest’ultimo, cominciò a colar sangue. Era una
scia continua, che perdurò dal centro città fino al convento. Appena
arrivato, quando depose la bisaccia ai piedi del padre guardiano,
questo, inorridito dallo spettacolo, domandò spiegazioni, sentendosi
rispondere che si trattava del “sangue dei poveri”, quello, cioè, che il
ricco e disonesto commerciante “levava” alla povera gente bisognosa e
disperata. Non aggiunse altro e niente di più gli domandò il superiore,
perché era stato detto tutto quel che c'era da dire. Intorno a quel
frate buono, amico dei bambini e vicino ai sofferenti, che sapeva
scrutare i cuori e aveva ricevuto da Dio il dono della preveggenza e di
compiere miracoli, fiorì presto la leggenda: divenne un personaggio
importante di Cagliari e anche personalità autorevoli si recavano a
chiedere il suo consiglio e la sua intercessione nella preghiera.
Intanto la vita terrena del buon fra Ignazio giunse alla fine. Venerdì
11 maggio 1781, alle ore 15,00, la campana del convento di Buoncammino
suonò “a morto”, segnalando ai fedeli la morte dell’amatissimo fra
Ignazio. Bastò poco perché la funesta notizia si spargesse per ogni
strada e vicolo della città ed era ormai sulle labbra di tutto il popolo
cagliaritano. Scattò allora una gara singolare fra gli abitanti del
capoluogo, ognuno desideroso di precedere gli altri al convento per
rendere omaggio alla sua salma e una processione interminabile si snodò
davanti, interrotta forzatamente la sera e ripresa il giorno dopo con
ancor più massiccia partecipazione. Era un impressionante concorso di
folla, che all'umile gente del popolo vedeva affiancati i potenti del
tempo. Due giorni dopo, domenica, la messa delle esequie, in un vero
tripudio, suggellò definitivamente il rapporto della città col suo
“santo” (che tale fu subito, almeno, nel giudizio della gente). Eppure
la vita di fra Ignazio era stata di un’ordinarietà sconcertante. Perfino
i miracoli, tanto abbondantemente testimoniati negli atti dei processi
canonici, apparivano quasi scontati, ordinari, come naturale compimento
di un'esistenza più angelica che umana. Il 16 luglio 1844 iniziò la sua
causa di beatificazione; il 26 maggio 1869 il papa Beato Pio IX dichiarò
l'eroicità delle sue virtù; il 16 giugno 1940, il pontefice Servo di
Dio Pio XII lo dichiarò Beato e, il 21 ottobre 1951, lo stesso lo inserì
nell'albo dei Santi. Auguri a tutti/e coloro che portano questo nome e
ne festeggiano oggi l’onomastico. Oggi i resti mortali di Ignazio
riposano in una artistica teca in vetro all’interno della chiesa
cagliaritana dei frati cappuccini dedicata a Sant'Antonio da Padova, che
è anche santuario a Ignazio stesso dedicato.
IMMAGINE: <<“Sant’Ignazio da Laconi“, stampa litografica realizzata da ignoto autore nella prima metà del XIX secolo. Immagine di pubblico dominio tratta dal volume “Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna” di Pasquale Tola, edito nel 1837>>
Roberto Moggi
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IMMAGINE: <<“Sant’Ignazio da Laconi“, stampa litografica realizzata da ignoto autore nella prima metà del XIX secolo. Immagine di pubblico dominio tratta dal volume “Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna” di Pasquale Tola, edito nel 1837>>
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