Santi Filippo e Giacomo, apostoli

Oggi - 3 maggio 2024 - venerdì della V settimana di Pasqua, la Chiesa celebra la festa dei Santi Filippo e Giacomo, apostoli. Philippos o Philippus (Filippo) e Iakobos o Iacomus (Giacomo), questi i loro nomi rispettivamente in greco antico (traslitterato nel nostro alfabeto) e latino, sono due dei dodici apostoli di Gesù. Il secondo, Giacomo, è detto comunemente “il Minore” o “d’Alfeo” o anche “Fratello del Signore” (cugino), per distinguerlo dall’altro apostolo Giacomo “il Maggiore”, figlio di Zebedeo e fratello di San Giovanni Evangelista. Essi sono festeggiati congiuntamente il 3 maggio, a seguito della riforma del calendario liturgico dell'anno 1969, voluta da papa San Paolo VI, essendo i due uniti, oltre che dalla comune appartenenza al ristretto gruppo dei “Dodici”, dalla circostanza che i loro resti riposano entrambi nella basilica romana dei Santi XII apostoli, fin dal 1724. Le loro spoglie, infatti, trasportate a Roma nel VI secolo, dalla città frigia di Hierapolis (oggi Ierapoli nel centro della Turchia asiatica) per quanto riguarda Filippo, e da Gerusalemme (Giudea) per quanto concerne Giacomo, furono ricomposti insieme in una nuova basilica a entrambi dedicata, innalzata nei pressi del Foro Traiano e ristrutturata più volte attraverso i secoli, sino a giungere all'attuale, come detto intitolata a tutti gli apostoli. Nello specifico, analizzando singolarmente le due figure, vediamo quanto segue. FILIPPO nacque probabilmente attorno al 5 d.C. a Betsaida di Galilea, lo stesso villaggio sul lago di Tiberiade dei due fratelli, anch’essi apostoli, Andrea e Pietro, ed è indicato al quinto posto nell'elenco dei Dodici. Dal Vangelo secondo Giovanni, sappiamo che egli, divenuto discepolo di Giovanni il Battista, fu tra i primi apostoli a incontrare Gesù, il quale si rivolse a lui dicendogli semplicemente: “… Seguimi …”. Quel primo incontro lasciò un segno indelebile nel suo cuore, tanto che, appena vide il suo amico Natanaèle, cioè Bartolomeo, poi anch’egli apostolo, gli riferì entusiasta e con fede incrollabile: “… Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret …”. Molto indicativo è che, alla prima risposta scettica del compagno: “… Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? …”, Filippo ribadì immediatamente: “… Vieni e vedi …” (Cf. Gv 1, 43-51). Di Filippo è poi citato, nello stesso Vangelo, il dialogo avuto con Gesù in occasione del miracolo della moltiplicazione dei pani e pesci, presso il lago di Tiberiade, mentre cercava di calcolare quanto sarebbe costato sfamare la folla accorsa ad ascoltare il Signore: “… Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» ...” (Gv 6, 5-7). Ancora, nell’Ultima Cena, mentre il Figlio di Dio sta rivelando pian piano il mistero trinitario, in cui gli apostoli saranno capaci di addentrarsi solo dopo la Risurrezione e il ricevimento dello Spirito Santo, è lui a chiedere: “…Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? …” (Gv 14, 8-10). Dopo la Pentecoste, egli avrebbe attraversato l’Asia Minore e, secondo alcune fonti apocrife, si sarebbe spinto a evangelizzare la Frigia, nella zona centrale dell’Anatolia (oggi Turchia asiatica) e la Scythia (Scizia), un enorme territorio che, dalle rive a est del Mar Nero, si addentrava a oriente (corrispondente oggi, vagamente, ai territori della Russia meridionale, Ucraina orientale, Caucaso settentrionale, Azerbaigian, Georgia, Bielorussia e Polonia fino Mar Baltico). Egli Sarebbe morto martire a Hierapolis (Ierapoli), città della Frigia che ospitava un oracolo pagano, dove operò moltissime conversioni, attorno all’anno 80, pare inchiodato a testa in giù a un albero o una croce. Ciò nonostante, esistono più versioni sulla sua fine che, secondo altri, sarebbe avvenuta invece in tarda età e per cause naturali. Quel che è certo, è che già i primi cristiani attestavano la sua morte e sepoltura a Ierapoli. In quella città, tra il 2008 e il 2015, è stata anche scoperta quella che - a detta di studiosi e archeologi - sarebbe la sua tomba, dove sarebbero stati conservati i suoi resti fino al citato spostamento a Roma. Gli archeologi hanno identificato anche i resti di una basilica sorta attorno a detto sepolcro e numerose iscrizioni attestanti l’antichissimo culto a lui tributato. GIACOMO nacque anch’esso nell’anno 5 d.C. circa, probabilmente nella Palestina romana. Dal Nuovo Testamento, si apprende che era figlio di Alfeo, padre anche dell’altro apostolo San Giuda Taddeo. Lo storico e scrittore Egesippo (110-180) riferisce che Alfeo era fratello di San Giuseppe e perciò Giacomo sarebbe anche cugino di Gesù. È in questo senso che San Paolo lo chiama “fratello del Signore” (Gal 1, 19), asserzione ripetuta anche nel Vangelo secondo Matteo: “… Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? …” (Mt 13, 55) e negli Atti degli Apostoli: “… Egli allora fece loro cenno con la mano di tacere e narrò loro come il Signore lo aveva tratto fuori dal carcere, e aggiunse: «Riferite questo a Giacomo e ai fratelli». Poi uscì e se ne andò verso un altro luogo …” (At 12, 17). Il termine “fratello” dunque, è una espressione spesso presente già nell’Antico Testamento per indicare i parenti prossimi. In base all’interpretazione cattolica tradizionale, avvalorata dal confronto tra le Sacre Scritture e i testi di alcuni autori antichi come il già citato Egesippo e Flavio Giuseppe (37-100), egli sarebbe la stessa persona di Giacomo “il Giusto”, primo vescovo di Gerusalemme. Giacomo ebbe un ruolo di grande rilievo nella Chiesa primitiva, tanto che San Paolo spiega come fosse considerato tra le “colonne” della stessa, insieme a Pietro e Giovanni: “ … Riconoscendo la grazia che mi era stata accordata, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano destra in segno di comunione perché andassimo noi agli stranieri, ed essi ai circoncisi …” (Gal 2, 9). Al Concilio di Gerusalemme, tenutosi intorno al 50 per risolvere la disputa sulla circoncisione, fece un intervento importante a sostegno del discorso di Pietro, citando il profeta Amos per vincere le resistenze dei Giudei e proponendo una soluzione per i pagani convertiti (Cf. At 15, 7-21). A lui si deve inoltre una significativa Lettera, dove esorta i fedeli a chiedere a Dio la vera sapienza e sottolinea la necessità delle buone opere accanto alla fede: “… A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Può la fede salvarlo? …” (Cf. Gc 2, 14-26). Subì il martirio a Gerusalemme, nel settimo anno di regno dell'imperatore romano Nerone, cioè attorno al 61-62, sotto il sommo sacerdozio di Anano. Varie e discordanti sono le tradizioni sulla sua morte. Secondo quella più accreditata, la “Storia Ecclesiastica” del vescovo e scrittore greco antico Eusebio di Cesarea (265-340), che cita esplicitamente a riguardo un lungo passo di Egesippo, un giorno scribi e i farisei gli chiesero di rinnegare Gesù dal pinnacolo del Tempio, affinché fosse udito da tutti, ma egli rispose: “… Perché m’interrogate sul Figlio dell’uomo? Egli siede in cielo alla destra della somma potenza e verrà sulle nuvole del cielo …”. Molti credettero alla sua parola. Allora gli scribi e i farisei lo gettarono dal pinnacolo, gridando: “… Oh! Anche il Giusto si è sbagliato …”. Poiché Giacomo era ancora vivo, fu lapidato e infine colpito con un bastone sulla testa, mentre chiedeva a Dio di perdonare i suoi carnefici. L’impressione del martirio fu tale che diversi Giudei arrivarono ad attribuire il successivo assedio di Gerusalemme e la distruzione del Tempio nell’anno 70, per opera dell’esercito romano, all’omicidio di Giacomo. Infatti, scrisse al riguardo Flavio Giuseppe, nella sua opera “Antichità Giudaiche”: “… Tutto questo capitò ai Giudei per punirli di ciò che fecero a Giacomo il Giusto, che era fratello di Gesù detto il Cristo, e fu ucciso dai Giudei malgrado fosse giustissimo …”. 
IMMAGINE: <<“Santi Filippo e Giacomo apostoli”, olio su tela dipinto nel 1450 circa dal pittore bavarese Wolfgang Sauber (XV secolo). L’opera si trova nella chiesa madre di Langenzenn, in Baviera (Germania)>>

Roberto Moggi
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