Oggi
- 5 maggio 2024 - VI domenica di Pasqua, la Chiesa ricorda, tra i vari
santi e beati, Sant’Angelo, noto anche con la specificazione “da
Gerusalemme” o “di Sicilia”, martire. Angelus, Aggelos o Mal'akh
(Angelo), questo il suo nome rispettivamente in latino, greco ed ebraico
(gli ultimi due nella loro traslitterazione nel nostro alfabeto),
nacque il 2 marzo 1185 a Gerusalemme, in Giudea, in
quel periodo capitale dell’omonimo regno costituito in Terra Santa dai
“Crociati”, a seguito della prima “Crociata” del 1099. L'appellativo di
“Crociati”, derivato dalla croce che portavano dipinta sulle vesti e
sulle insegne quale loro simbolo, si riferisce ai soldati cristiani di
vari Paesi europei, in genere cavalieri, partecipanti a una delle
“Crociate”, le spedizioni militari cristiane in Terra Santa finalizzate a
combattere gli infedeli e riconquistare i luoghi sacri. Figlio di
genitori ebrei convertiti al cristianesimo, rimase orfano in tenera età e
fu adottato, unitamente al fratello gemello Giovanni, dal ricco e
influente Nicodemo, patriarca cristiano della città, che diede loro modo
di studiare sino ai diciotto anni, con eccellenti risultati in tutte le
materie. Spinti entrambi da una robusta vocazione religiosa, furono
accolti nel convento di Sant’Anna, presso la Porta Aurea di Gerusalemme,
appartenente all’Ordine dei Fratelli della Beata Vergine Maria del
Monte Carmelo (sorto nell’XI secolo sul vicino Monte Carmelo come ordine
eremitico contemplativo, i cui frati sono detti “Carmelitani”). Dopo il
noviziato, si trasferirono entrambi nel convento innalzato dall’Ordine
proprio sul Monte Carmelo, ove praticarono un ascetismo integrale, ricco
di digiuni, preghiere e penitenze. Qui, nel 1210, Angelo fu ordinato
sacerdote, partendo subito dopo per un pellegrinaggio alla volta di
Roma. Durante il viaggio - narra la tradizione - fece miracolosamente
ritirare le acque del fiume Giordano, attraversandolo a piedi senza
minimamente bagnarsi e giungendo poi ad Alessandria d’Egitto, dove
s’imbarcò per l’Italia e giunse a Messina, città sull’omonimo stretto in
quello che era il Regno di Sicilia. In seguito, sempre via mare, si
spostò fino al porto di Civitavecchia, nell’alto Lazio appartenente allo
Stato Pontificio, dove consegnò al destinatario Federico di
Chiaramonte, nobile siciliano che in quel periodo si trovava in quella
città, alcune preziose reliquie che il patriarca Alberto “di
Gerusalemme” (1149-1214), futuro santo, gli aveva in affidato allo
scopo. Intanto Angelo cominciò a predicare al popolo, migliorando e
raffinando la sua oratoria di giorno in giorno, con enfasi paragonata
dagli esperti alla potenza taumaturgica dei grandi profeti biblici Elia
ed Eliseo, compiendo anche alcuni miracoli. Nel 1218, l’Ordine
Carmelitano gli affidò la delicata missione di sottoporre a papa Onorio
III (dal 1216 al 1227) la nuova regola, che lo stesso patriarca di
Gerusalemme aveva redatto fin dal 1214. La missione andò a buon fine e
la novella norma fu approvata nel 1226, trasformando l’Ordine dei
Carmelitani da contemplativo a mendicante (che imponeva l'emissione di
un voto di povertà implicante la rinuncia a ogni proprietà non solo per i
frati, ma anche per i conventi, che traevano sostentamento unicamente
dalla raccolta delle elemosine). Nella Città Eterna ebbe modo di
incontrare due grandi futuri santi, Domenico di Guzman (1170-1221),
fondatore dell'Ordine dei Frati Predicatori (detti poi in suo onore
Domenicani) e Francesco d’Assisi (1181-1226), che gli profetizzò il
martirio. Angelo fu inviato a predicare anche in Campania, in Puglia e
in molti altri luoghi d’Italia. Istituì diversi conventi, che accolsero i
Carmelitani allontanatisi dal Monte Carmelo per via delle guerre
scaturenti dalle imperversanti Crociate. Dopo un’ulteriore breve
permanenza a Roma, dove svolse intensa attività di predicatore, fu
inviato in Sicilia, quale capo dei confratelli che, in fuga dal Monte
Carmelo, giunsero nell’isola. Qui Predicò in diverse città e paesi delle
zone di Palermo e Agrigento, particolarmente attivo contro l’infuriante
eresia “Catara” (Il “Catarismo” è stato un movimento ereticale
cristiano, diffuso in diverse zone dell'Europa durante il Medioevo,
attivo dal X al XIV secolo. I “Catari” - termine di origine greca che
significa “puro” - in polemica con la Chiesa, predicavano un
rinnovamento morale fondato sull'antitesi tra bene e male, spirito e
materia ed erano organizzati in una vera e propria gerarchia
ecclesiastica). Giunto a Licata (Agrigento), città portuale chiusa da
mura per difendersi dagli assalti dei pirati islamici, andò ad abitare
in una casa messagli probabilmente a disposizione dall’arcivescovo di
Agrigento, Goffredo. Qui, era solito celebrare la Messa e predicare
presso la piccola chiesa intitolata ai Santi Apostoli Filippo e Giacomo,
non lontana dal fiume Salso. Con le sue fervidissime prediche catturava
l’attenzione di tutto il popolo, che pendeva letteralmente dalle sue
labbra. Nessuno poteva trattenere le lacrime di dolore o di gioia. Non
era mai stato ascoltato un predicatore così capace e convincente come
lui. Fu in questa chiesa che Angelo incontrò per la prima volta
Berengario, un signorotto locale d’origine normanna, che, oltre ad
essere un caparbio sostenitore dell’eresia Catara, da dodici anni, con
indicibile scandalo del popolo, viveva una vita incestuosa con la
propria sorella Margherita, dalla quale aveva avuto tre figli. Nessun
sacerdote era riuscito a fargli cambiare vita e anzi, come il nobile
sosteneva pubblicamente, riteneva di non commettere nessuna colpa a
convivere con la germana. Toccò ad Angelo porre fine a questo scandalo.
Tante volte egli aveva parlato paternamente con Berengario e con la
sorella convivente, giungendo, mediante accese prediche sul peccato, a
convincere almeno la donna a ravvedersi, ponendo fine alla convivenza e
dando inizio all’opera ardua, ma non impossibile, della redenzione.
Giunse così il momento in cui Margherita manifestò pubblicamente, in
chiesa, il proprio pentimento, davanti a lui e a una moltitudine di
fedeli. Berengario, che non era presente, quando lo venne a sapere montò
su tutte le furie e, colmo d’ira, decise di vendicarsi dell’affronto
subito, uccidendo Angelo. Il momento opportuno giunse la mattina del 5
maggio 1220, durante la messa celebrata da Angelo nella sua chiesa.
Durante l’omelia, all’improvviso, ci fu un grande scompiglio tra i
fedeli tra urla di spavento e disapprovazione. Infatti, Berengario,
brandendo un ben affilato pugnale, protetto da una banda di ribaldi suoi
pari, si fece largo prepotentemente tra la devota folla e, con un
balzo, raggiunse Angelo intento a predicare sul pulpito. Poi, sotto gli
occhi del popolo esterrefatto e inorridito, vibrò ben cinque mortali
colpi su di lui, che stramazzò al suolo in un lago di sangue. Prima di
morire, fece in tempo a chiedere ai fedeli di non vendicare il suo
omicidio e di perdonare il suo assassino. Angelo fu sepolto nella stessa
chiesa del martirio, che divenne presto meta di pellegrinaggi.
Berengario, resosi conto di quanto aveva fatto e braccato dalla
giustizia, pose fine alle sue scelleratezze e ai suoi infelici giorni
impiccandosi nella propria casa. Poi, per unanime deliberazione del
popolo, il suo corpo fu gettato in aperta campagna, agli animali
selvatici. La tradizione racconta che nella chiesetta del martirio, oggi
santuario a lui intitolato, nel punto dove riposava il corpo di Angelo,
scorreva una specie di olio che dava salute agli infermi che ci si
ungevano, mentre molti miracoli avvenivano. Ancora nel 1223, il corpo di
Angelo, riesumato per essere deposto in una cassa di legno, emanava un
soavissimo profumo. Come raccontano altre fonti, rimossi i resti
mortali, scaturì nel luogo dov'era stato collocato il corpo una sorgente
di acqua fresca e chiarissima che, per i suoi effetti miracolosi, era
spedita in anfore sigillate col sigillo del Magistrato di Licata, alle
città e alle province vicine. Negli anni 1625-1627, durante il processo
per la santificazione, molti testimoni asserirono di avere ricevuto
benefici dall’acqua che scaturiva dal pozzo. L’approvazione del suo
culto fu concessa da papa Pio II.
IMMAGINE: <<“Sant’Angelo“ (di Gerusalemme o
di Sicilia), olio su tela realizzato nel 1667 circa dal pittore spagnolo
Antonio de Pereda y Salgado (1611-1678). L’opera si trova nel museo del
Prado a Madrid (Spagna)>>
Roberto Moggi
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