Oggi
- 7 maggio 2024 - martedì della VI settimana di Pasqua, la Chiesa
ricorda, tra i vari santi e beati, Santa Domitilla, martire. Di Flavia
Domitilla, questo il suo nome completo sia in latino che in italiano,
indicata comunemente col solo secondo nome, si conosce poco. Le
principali notizie su di lei provengono da un passio non anteriore al V
secolo, di autore ignoto e giudicato non pienamente attendibile. Secondo
questo documento, Domitilla nacque a Roma attorno al 60 d.C., dalla
nobile famiglia imperiale dei Flavi, di religione pagana. Nipote del
console Flavio Clemente, lo sarebbe stata anche dell'Imperatore
Vespasiano (dal 69 al 79), suo nonno materno, e dei futuri Imperatori
Tito (dal 79 all’81) e Domiziano (dall’81 al 96), suoi zii materni
(anche se, secondo altre fonti, quest’ultimo era suo cugino). La
tradizione parla delle importanti figure di due fedelissimi schiavi
eunuchi al suo servizio, Nereo e Achilleo, nascostamente cristiani, che -
benché lei fosse una patrizia pagana - le parlarono di Gesù e la
introdussero nel mondo cristiano. La sua anima, terreno purissimo e
fertile, rimase affascinata dalla figura di Cristo e dal Vangelo, al
punto da divenire segretamente un’assidua frequentatrice della Chiesa
locale, fino alla radicale conversione al cristianesimo e alla
consacrazione privata a Dio, con voto individuale di castità. Essa,
però, era prossima a convolare alle nozze pagane impostele dai
familiari, come consuetudine dell’epoca, con l’aristocratico Aureliano,
anch’esso figlio di un console. Messa di fronte a una scelta così
importante, che avrebbe avuto serie ripercussioni sulla sua vita, ormai
forte nella fede, decise coraggiosamente di rifiutare l’unione nuziale e
di manifestare apertamente la propria fede nel Signore Gesù, coprendosi
il capo del candido velo che indossavano le vergini consacrate a Dio.
L'imperatore Domiziano, suo nonno o cugino a seconda delle fonti, per
altro istigato dal nobile pretendente respinto, si adirò e la esiliò
nell'isola di Ponza, la maggiore del piccolo gruppo delle Isole Pontine,
di fronte alla cittadina portuale di Gaeta, nel basso Lazio (oggi in
provincia di Latina, regione Lazio). Aureliano, pretendente respinto,
dopo aver cercato invano di convincere i due servi Nereo e Achilleo,
immediatamente incarcerati perché cristiani e colpevoli della
conversione di Domitilla, a farla desistere dalla sua consacrazione a
Dio, ottenne di farli decapitare entrambi. Egli pagò presto il fio della
sua crudeltà, poiché morì, forse per sfinimento, durante i bagordi di
una festa da lui organizzata a Ponza, ennesimo tentativo di far breccia
nel cuore di Domitilla. A quel punto, però, un fratello del pretendente
defunto, per vendicarne la morte attribuita al diniego della nobile
esiliata, fece appiccare il fuoco alla sua casa. Ne scaturì un immane
rogo nel quale, in data imprecisata compresa verosimilmente tra gli anni
95 e 100 circa, Domitilla fu arsa viva, vittima incontaminata del suo
amore per Cristo. Nel Martirologio Romano, che la riporta nella data
odierna al primo posto, Domitilla: “… consumò un lungo martirio …”,
probabilmente inteso come sofferenza continua nell’esilio, terminata con
la morte violenta per la sua fede a Cristo. In merito dice, infatti,
San Girolamo (347-420): “… longum martyrium duxerat …” (“condusse un
lungo martirio”), riferendo anche, a conferma del passio, che la matrona
e vedova Paola, in occasione di un suo viaggio in Oriente, passò
nell'isola per visitarvi i luoghi in cui visse in esilio Domitilla. Il
suggestivo racconto, trova un certo riscontro nelle cronache di alcuni
importanti storici, come nella “Storia Ecclesiastica” del vescovo e
scrittore greco Eusebio di Cesarea (265-340), che afferma: “… Tramandano
che nell'anno quindicesimo (di regno) di Domiziano (quindi il 95),
Flavia Domitilla, nipote, per parte della sorella, di Flavio Clemente,
che era allora uno dei consoli di Roma, insieme con numerose altre
persone fu deportata nell'isola di Ponza per avere confessato Cristo …”.
Lo storico romano di lingua greca Dione Cassio (155-235), dichiara a
sua volta che l'Imperatore Domiziano: “… tolse la vita, con molti altri,
anche a Flavio Clemente, benché fosse suo cugino …”. Questo avvenne con
l'accusa di “ateismo”, dato che atei erano considerati i cristiani per
il loro rifiuto di adorare gli dèi di Roma. Lo stesso autore soggiunge
al riguardo che: “… Molti (cristiani), sviàtisi dietro le costumanze dei
giudei, ebbero la condanna chi di morte chi di confisca dei beni …”.
Dopo mezzo secolo di vita della fiorente comunità cristiana romana,
infatti, si faceva ancora un tutt'uno tra cristiani e giudei, che, agli
occhi dei pagani, erano una sola cosa. .
IMMAGINE:
<<“Santa Domitilla”, tempera su legno dipinta da ignoto autore di
Scuola umbra del secolo XV. L’opera si trova attualmente presso il Museo
Nazionale di Varsavia (Polonia)>>
Roberto Moggi
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