San Pacomio, abate

Oggi - 9 maggio 2024 - giovedì della VI settimana di Pasqua, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Pacomio, abate, il cui nome è anche conosciuto proprio con la specificazione di "abate". Di Pachómios o Pachómius (Pacomio), questo il suo nome rispettivamente in greco (nella sua traslitterazione nel nostro alfabeto) e in latino, si conosce solo quel poco che è riportato nell’opera “Vita Sancti Pachomii” (Vita di San Pacomio), una biografia che gli fu dedicata nel IV secolo da un autore ignoto. Da essa apprendiamo che nacque tra il 290 e il 292, nella Provincia Romana dell’Egitto (oggi omonima repubblica dell’Africa settentrionale), precisamente nella regione desertica della Tebaide Inferiore, probabilmente a Esna, ma secondo altre fonti a Tebe che ne era la capitale, da una famiglia pagana. Verso i ventun anni, durante il regno dell’Imperatore Galerio (dal 305 al 311), fu arruolato nell’esercito imperiale romano, forse forzatamente, come poteva accadere all’epoca in caso di emergenza per tumulti o ribellioni, prestando servizio a Isna (o Esneh), nella medesima Provincia, dove ebbe i primi contatti con i cristiani locali. Rimase subito colpito e affascinato dalla loro bontà e dall’amore che vicendevolmente si dimostravano, cominciando a frequentare segretamente le loro assemblee. Infine, all’inizio del 313, poco prima dell’editto “di tolleranza” dell’Imperatore Costantino I (dal 306 al 337), ormai maturo e saldo nella fede, si convertì al cristianesimo. Il suo cambiamento di credo fu anche sostenuto - narra la tradizione - dalla solidarietà che nutriva nei confronti dei tanti validi commilitoni ingiustamente perseguitati per la loro fede in Gesù. Nel 316, lasciato l’esercito, completò la sua istruzione religiosa a Seneset, sempre in Egitto, ricevendo il battesimo. Poi, sotto la direzione spirituale dell'anacoreta Palámone (o Palémone), monaco molto conosciuto in quel periodo, si ritirò dal mondo come eremita nel deserto della Tebaide e seguì una rigorosa dottrina ascetica, vivendo in assoluta povertà, praticando il digiuno e trascorrendo la notte in preghiera. La sua vita solitaria durò alcuni anni, durante i quali ebbe modo di valutare bene la forma di vita religiosa che aveva intrapreso e conoscerne i limiti, convincendosi che non fosse quella la spiritualità più adatta al suo temperamento, bensì quella cenobita (ossia la vita religiosa in comune). Pertanto, dopo circa sette anni, per divina ispirazione, cambiò tipo di vita religiosa, lasciando quella eremitica per quella monastica comunitaria. Nel 320, recatosi a Tabennesi, sulla riva del Nilo, forte del suo carisma, raccolse intorno a sé alcuni discepoli, che gradualmente aumentarono fino a raggiungere il centinaio. Per loro organizzò la vita in comune e fondò un monastero al quale diede una regola divenuta famosa, che aiutava i religiosi, specialmente quanti erano stati eremiti, a vivere in comune, regola che San Girolamo, nel 404, avrebbe fatto conoscere all'Occidente nella sua traduzione latina e alla quale s’ispireranno le principali istituzioni monastiche d’Oriente e Occidente. A Tabennesi nella regione della Tebaide, Pacomio divenne abate di quella che si può ben considerare la prima abbazia, ove era definito “Padre dei Monaci”. Appena il loro numero crebbe, raggiungendo circa i 1.300, fondò altri cenobi. Quest’opera propagatrice, da lui iniziata, continuo anche dopo la sua morte. Rese l’anima a Dio nel monastero di Pbow (o pabau o Pebu) sempre in Egitto, tra il 346 e il 348, durante un'epidemia di peste. Egli è l’indiscusso fondatore del cenobitismo cristiano.  IMMAGINE: <<“San Pacomio”, tecnica mista e olio su tavola, eseguita verosimilmente nel XX secolo da ignoto monaco cenobita. Immagine di pubblico dominio>>
Roberto Moggi
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