San Giuseppe Marello

Il 30 maggio,  la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giuseppe Marello, vescovo. Giuseppe, questo il suo nome di battesimo, nacque a Torino, capitale dell’allora Regno di Sardegna (oggi capoluogo della regione Piemonte), il 26 dicembre 1844. Il padre Vincenzo Marello e la madre Anna Maria Viale, gestivano nella città piemontese un fiorente commercio di formaggi, attività che permetteva una condizione agiata alla famiglia. Nel 1847 venne al mondo il secondo figlio, Vittorio. Nel 1848, rimasto orfano di madre all'età di soli quattro anni, fu affidato, col fratellino, alle cure dei nonni paterni abitanti a San Martino Alfieri (in provincia di Alessandria, regione Piemonte). Qui, dove nel 1852 si trasferì anche il padre, frequentò le scuole elementari con successo e assiduamente la parrocchia. Nell’estate del 1856, a dodici anni, come premio per i buoni risultati ottenuti negli studi, il genitore lo condusse in gita nella vicina città di Savona (capoluogo dell’omonima provincia della Liguria), dove insieme fecero visita al santuario della Madonna della Misericordia. Qui, straordinariamente, Giuseppe intuì di essere chiamato alla vita sacerdotale e nello stesso autunno decise di entrare in seminario, sia pure col dispiacere del padre, che avrebbe preferito avviarlo all'attività commerciale di famiglia. Così, il 31 ottobre 1856, entrò nel seminario diocesano di Asti. Di temperamento franco e pronto, era portato a emergere sia nello studio sia nel comportamento; durante il corso di tre anni del ginnasio interno al seminario di Asti, Giuseppe si distinse per il carattere volitivo e per un'intelligenza assai brillante. Un suo compagno di studi, Giacomo Gai, ricordò “perfettamente la sua bontà giovanile congiunta al suo vivo e profondo ingegno”. Intanto, nel 1859, iniziò la Seconda Guerra d'Indipendenza finalizzata all’unità d’Italia, combattuta dal Regno di Sardegna contro l'Impero Austro-Ungarico. Secondo le leggi di guerra, il seminario di Asti fu requisito e trasformato in caserma, costringendo Giuseppe, unitamente agli altri seminaristi, a trovare alloggio presso una famiglia della città. Terminò gli studi filosofici nella Curia vescovile, ma nell'estate del 1862, in seguito ad una grave crisi spirituale legata soprattutto alle pressioni paterne che non condivideva la sua scelta religiosa, decise di ritirarsi dal seminario e di tornare allo stato laicale. Pertanto si trasferì a Torino dove, nello stesso anno, iniziò gli studi commerciali, con grande soddisfazione del padre. Nel dicembre del 1863, tuttavia, occorse un episodio sopranaturale che sistemò la situazione. Giuseppe cadde gravemente ammalato di tifo e versava in imminente pericolo di vita, ma, ciò nonostante, si rivolse così a suo padre: “Padre, io avrei voluto continuare gli studi per farmi sacerdote. Tu non hai voluto ed io ti ho obbedito. Ma la Madonna, vedendo in quali pericoli mi trovo, ha esaudito la mia preghiera e sta per liberarmi. Se tu acconsenti che io segua la mia strada, guarirò subito, altrimenti la Madonna mi chiamerà a sé”. Inutile dire che il genitore accordò subito il suo consenso e che Giuseppe guarì miracolosamente. Il 9 febbraio 1864, completamente ristabilito, riprese gli studi nel seminario astigiano nel frattempo tornato operativo. Infine, il 19 settembre 1868, fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Asti. Per la sua intelligenza e per le sue grandi capacità pratiche, il vescovo Carlo Savio lo scelse come segretario il 21 ottobre del medesimo anno. Con lui avrà modo di approfondire il governo pastorale, seguendolo in tutte le sue visite alle parrocchie della diocesi e in tutti i suoi viaggi. Ad Asti, le sue attenzioni furono in particolare per il seminario, dove teneva lezioni di catechismo ai ginnasiali e, per due anni, tra il 1881 e il 1883, ricevette l'incarico di direttore spirituale e confessore dei seminaristi. Dal 1881 al 1889 fu anche direttore spirituale dell'Istituto Michelerio e, nominato canonico nel 1881, frequentò assiduamente il duomo per l'ufficio del coro e per le confessioni. Il 21 novembre 1869, monsignor Carlo Savio si recò a Roma per partecipare al Concilio Vaticano I, conducendo Giuseppe, suo segretario, con sé. Furono alloggiati nel palazzo del Quirinale, allora residenza estiva dei papi, avendo modo di conoscere il cardinale Gioacchino Pecci, futuro papa Leone XIII. Monsignor Savio e Giuseppe incontreranno il pontefice Pio IX in udienza privata, nella notte di Natale dello stesso anno. Nel 1872, chiese al canonico Giovanni Battista Cerruti di accogliere nella chiesa del Gesù la Compagnia di San Giuseppe. Da questo nacque, nell’ottobre dello stesso anno, la nuova Compagnia di San Giuseppe col nome di Oblati di San Giuseppe, una congregazione nata nei locali dell'Istituto Michelerio dove Giuseppe in precedenza aveva già tentato di costituire la prima Compagnia. Il 14 marzo 1878, finalmente, I primi quattro giovani iniziarono la vita comune, con una spiritualità ispirata a San Giuseppe, al suo amore a Gesù nel nascondimento e nell'operosità, cioè, come diceva lui: “Certosini in casa e apostoli fuori casa”. La nuova famiglia religiosa si sviluppò, umile e nascosta, prima in un orfanotrofio e poi in un ospizio, con impegno apostolico nell'attività pastorale nelle parrocchie, nelle scuole, nei collegi e orfanotrofi, nell'insegnamento della religione, nel servizio ai parroci, nell'assistenza alla gioventù, nella dedizione verso gli ultimi. Il 23 novembre 1888, poi, giunse improvvisa la sua nomina a vescovo di Acqui (oggi Acqui Terme in provincia di Alessandria, regione Piemonte), ad appena quarantaquattro anni. L'entrata in diocesi avvenne il 16 giugno 1889, per un episcopato che durerà solo sei anni, durante il quale visitò tutte le parrocchie della diocesi. Alla fine del 1800 la diocesi di Acqui comprendeva centoventuno parrocchie, con ventotto vicarie foranee e una popolazione di almeno centottantamila abitanti. La parte montagnosa, verso la Liguria, pur essendo la più estesa, era la meno popolata, perché più impervia e povera. Giuseppe la percorse tutta con i mezzi e le strade di allora, viaggiando in treno, in carrozza, a cavallo e a piedi. Il contatto diretto con la popolazione era per lui il primo dovere e dove passava suscitava sentimenti di entusiasmo e di fede. Appariva come un pastore zelante, un modello di virtù esercitate con eroicità, nella semplicità e umiltà dell'ordinario. Amava il nascondimento, ma non poteva sfuggire all'ammirazione per il suo carattere dolce. Uomo di grande virtù interiore e di amore a Dio, era aperto a tutte le iniziative di carità ed era considerato già un santo. Giuseppe, colmo di meriti su questa terra, morì inaspettatamente il 30 maggio 1895 a Savona (Liguria) e fu sepolto ad Asti in una cappella di quello che oggi è il santuario di San Giuseppe. L'iter per la sua beatificazione ebbe inizio quasi trent’anni dopo la morte, fino al 12 giugno 1978, nell'anno centenario della Congregazione, quando si ebbe il decreto sull’eroicità delle virtù e fu dichiarato venerabile. Il 26 settembre 1993, in Asti, nella grande piazza del Palio, con la partecipazione di decine di migliaia di fedeli, papa San Giovanni Paolo II lo dichiarò beato alla presenza dei cardinali Angelo Sodano, segretario di Stato della Santa Sede; Giovanni Saldarini, arcivescovo di Torino; Simon Ignatius Pimenta, arcivescovo di Bombay; di molti vescovi delle diocesi del Piemonte e delle diocesi dove lavoravano gli Oblati di San Giuseppe. Infine, lo stesso pontefice lo dichiarò santo il 25 novembre 2001, nella basilica di San Pietro a Roma. Il miracolo approvato per la sua canonizzazione è avvenuto in un pueblo della prelatura di Huarì, nel distretto di Pomabamba chiamato Ranquish, sulle Ande peruviane. Qui, il 15 maggio 1998, i due fratellini Alfredo e Isila Chavez, di undici e dieci anni, guariscono istantaneamente e simultaneamente da broncopolmonite acuta, dopo aver invocato il beato Giuseppe Marello, patrono del villaggio.
Roberto Moggi
Home page   ARGOMENTI

Commenti