Il 26 maggio, la Chiesa
celebra la memoria obbligatoria di San Filippo Neri, sacerdote. Filippo
Romolo, questi i suoi nomi di battesimo, ma chiamato solo col primo,
nacque il 21 luglio 1515 a Firenze, allora capitale dell’omonima
repubblica oligarchica, governata da un consiglio noto come “Signoria”, a
capo della quale era il “Gonfaloniere”. Filippo era il secondogenito
dei quattro figli della famiglia Neri, originariamente
agiata ma poi decaduta. Il padre Francesco era un notaio che, per
mancanza di clienti, finì per dedicarsi all’alchimia, mentre la madre,
Lucrezia da Mosciano, proveniva da una modesta famiglia rurale. Quando
la mamma morì con il quarto figlio che stava partorendo, lasciandolo
orfano in tenera età, il padre si risposò con una donna buona e pia, che
instaurò, con lui e i suoi fratelli, un affettuoso rapporto. Filippo,
molto sensibile e dal carattere gentile e amorevole, era per questo
chiamato abitualmente col vezzeggiativo di "Pippo buono”, che gli
resterà per tutta la vita. Ricevette la prima istruzione direttamente
dal padre, molto colto, che gli trasmise la passione per la lettura, al
punto che, un po’ alla volta, giunse a costituire una biblioteca privata
con molti volumi. La formazione religiosa la ebbe in città, nel
convento domenicano di San Marco. In quell'ambiente respirò il clima
spirituale del movimento del focoso predicatore apocalittico Girolamo
Savonarola (1452-1498), frate domenicano verso il quale nutrì grande
devozione e affetto per tutta la vita, pur mantenendo un’evidente
distanza dai suoi metodi e dalle sue scelte. Verso il 1533, appena
diciottenne, su consiglio del padre che desiderava offrirgli ogni
maggiore possibilità di riuscita nella vita, Filippo si trasferì nel
Lazio meridionale, nella cittadina di San Germano (oggi Cassino in
provincia di Frosinone, regione Lazio), da un parente commerciante senza
prole, per un’esperienza lavorativa che durò poco. Dal 1534 si spostò a
Roma, probabilmente senza un motivo particolare o un progetto preciso,
forse perché affascinato dalla grande capitale della cristianità,
giungendovi con l'animo contrito del pellegrino penitente. Nell’Urbe
visse gli anni della giovinezza in modo austero e lieto al tempo stesso,
tutto dedito al proprio spirito. Qui, la casa del concittadino
fiorentino Galeotto Caccia, capo della locale dogana, gli offrì
ospitalità e un frugale vitto, che lui ricambiava facendo da precettore
ai figli. Lo studio lo attirava, tanto da frequentare lezioni di
filosofia e teologia dai frati agostiniani e all’università della
Sapienza, ma ben maggiore era l'attrazione che provava per la vita
contemplativa, tanto forte da impedirgli persino di concentrarsi sugli
argomenti delle lezioni. Questa spiritualità, tuttavia, la viveva nella
libertà del laico che poteva scegliere, fuori dai “recinti” di un
chiostro, i modi e i luoghi della propria preghiera, prediligendo ad
esempio chiese solitarie, catacombe (memoria dei primi tempi della
Chiesa apostolica) o il sagrato delle chiese durante le notti
silenziose. Coltivò per tutta la vita questo spirito di contemplazione,
alimentato anche da fenomeni straordinari che il Cielo gli concedeva,
come quello avvenuto nella Pentecoste del 1544, quando, all’interno
delle catacombe di San Sebastiano sulla via Appia Antica, dove si era
recato e intrattenuto per tutta una notte d’intensa preghiera, ebbe la
grazia di ricevere in forma sensibile il dono dello Spirito Santo, che
“dilatò il suo cuore”, infiammandolo di un fuoco invisibile che gli
arderà nel petto fino al termine dei suoi giorni. Questa intensissima
esistenza mistica si sposava con un’altrettanto vigorosa quanto discreta
attività di apostolato nei confronti di qualunque bisognoso gli
capitasse di incontrare nelle piazze e nelle vie di Roma, nel servizio
presso l’ospedale San Giacomo in Augusta, detto “degli Incurabili”, nel
centro città, nella partecipazione all’attività di alcune Confraternite,
tra le quali, in modo speciale, quella della Trinità dei Pellegrini, di
cui Filippo fu forse il fondatore e sicuramente il principale artefice,
insieme al suo confessore Padre Persiano Rosa. A quest'ultimo Filippo
affidò la cura della propria anima, ed è sotto la sua direzione
spirituale che maturò lentamente la chiamata alla vita sacerdotale.
Intraprese così i necessari studi e, il 23 maggio 1551, a trentasei
anni, nella chiesa parrocchiale di San Tommaso in Parione, fu ordinato
sacerdote. Filippo continuò da presbitero l'intensa vita di servizio ai
fratelli che già lo aveva caratterizzato da laico. Andò ad abitare nella
“Casa di San Girolamo”, sede della Confraternita della Carità, che
ospitava a pigione un certo numero di sacerdoti secolari, dotati di
ottimo spirito evangelico, i quali attendevano all’annessa chiesa. Qui
il suo principale ministero divenne l'esercizio della confessione e fu
proprio con i suoi penitenti che Filippo iniziò, nella semplicità della
sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, di dialogo
spirituale, di preghiera, che costituirono l'anima e il metodo di quel
rivoluzionario luogo d’incontro, socializzazione e preghiera che assunse
il nome di “Oratorio” (termine che indicava in origine uno spazio in
cui si riunivano i membri di una confraternita o di una comunità
religiosa per pregare, in latino “orare”). Ben presto la cameretta non
bastò al numero crescente di “pazienti spirituali”, Filippo fece allora
radunare i suoi discepoli, da tutti chiamati ormai "quelli della
Carità", in un locale situato sopra la navata dell’attigua chiesa, prima
destinato a conservare il grano che i confratelli distribuivano ai
poveri. Tra i discepoli del santo, alcuni - ricordiamo tra tutti i
futuri cardinali Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi, che
diventeranno entrambi venerabili - maturarono la vocazione sacerdotale,
proprio perché innamorati del suo metodo e della sua azione pastorale.
Nacque così, senza un progetto preordinato, la "Congregazione
dell'Oratorio", una comunità di preti che nell'Oratorio avevano non solo
il centro della loro vita spirituale, ma anche il più fecondo campo di
apostolato. In seguito, con altri discepoli nel frattempo divenuti
anch’essi sacerdoti, andò ad abitare nella canonica di San Giovanni dei
Fiorentini, chiesa della comunità fiorentina di Roma, di cui Filippo
aveva dovuto accettare la Rettoria per le pressioni dei suoi
concittadini toscani. Qui iniziò, tra i presbiteri discepoli di Filippo,
quella semplice vita familiare, retta da poche regole essenziali, che
divenne la culla di una futura Congregazione. Nel 1575 Papa Gregorio
XIII affidò a Filippo ed ai suoi preti l’allora piccola e fatiscente
chiesa di Santa Maria in Vallicella, a due passi da San Girolamo e da
San Giovanni dei Fiorentini, erigendo al tempo stesso la "Congregatio
presbyterorum saecularium de Oratorio" (Congregazione dei presbiteri
secolari dell’Oratorio). Filippo, che continuò a vivere nell'amata
cameretta di San Girolamo fino al 1583 e che si trasferì solo per
obbedienza al Papa nella nuova residenza dei suoi preti, si dedicò con
tutto l'impegno a ricostruire in dimensioni grandiose ed in bellezza la
piccola chiesa della Vallicella. Qui trascorre gli ultimi dodici anni
della sua vita. San Filippo Neri si spense durante le prime ore del 26
maggio 1595, all'età di ottant'anni, amato dai suoi e da tutta Roma.
Nonostante le sue reliquie siano in moltissime chiese, le sue spoglie
sono venerate nella cappella a lui dedicata nella stessa chiesa di Santa
Maria in Vallicella, dal 1602. Fu canonizzato nel 1622.
Roberto Moggi
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