I cani di Chernobyl.

Curiosità 2

I cani di Chernobyl sono, di buon grado, i cani più sfigati che potevano nascere cani.

Si son ritrovati in una tiepida, per gli standard Ukraini, mattina di fine Aprile a veder un sacco di gente sbigottita che veniva invitata ad abbandonare le proprie abitazioni per un “temporaneo - trasferimento - in - zone - più - sicure”.
Tra quella gente c’erano gli unici legami forti che matura un cane: i suoi padroni.
Adulti, bambini, oggetti di valore. Tutto si spostava, confusionariamente, verso i bus che “temporaneamente” trasferivano un piccolo mondo, fino a pochi giorni prima un wonderworld nel contesto sovietico, verso lidi più sicuri.
Tutto.
Non i cani.
Qualcuno, probabilmente additato come il figlio di puttana in quei momenti, uccise il suo cane lì, su due piedi, chiudendo per alcune frazioni di secondo gli occhi per non fissare una diapositiva senza tempo.
Un aiuto straziante.
Altri sapevano che sarebbero tornati a breve:
stiparono i cani in casa con tanta acqua e tanto cibo, anche il loro cibo che non avrebbero consumato e mai avrebbero ceduto ad un cane, in un precipitare di saluti, carezze e lacrime.
Una criminale solidarietà.
Altri ancora lasciarono liberi i loro cani, vedendoli finire il fiato mentre correvano perdenti dietro ad un autobus che viaggiava in colonna militare.
I cani corrono.
Acconsentendo al richiamo del proprio branco e delle proprie zampe raggiungevano il mezzo: si allontanava. Perdevano ancora il fiato per riavvicinarlo: rallentava. Si accostavano ansimanti annusando qualcosa: ripartiva.
Quando la necessità di abbandonare il tuo unico obiettivo supera l’istinto primordiale di raggiungerlo, sei un cane morto.
Morto.
L’istinto di sopravvivenza e la totale inconsapevolezza di chi e di cosa ti circonda ti fa uscire dalla tana, ti fa bere dalle pozze, ti fa vagare alla ricerca di chi e di cosa ti addandonó, ti fa sopravvivere.
Il cane diventa preda.
E diventa radioattivo, inconsapevolmente in simbiosi con l’ambiente che non lo ha rifiutato.
Il cane sopravvive.
Si accoppia, cerca cibo, alleva prole, scava tane. Cerca il riparo che ha perso. Diventa predatore e di nuovo diventa preda, diventa promotore di epidemie, diventa contaminatore. Cerca lo sguardo di forme umane a lui ancora lontanamente familiari che ligiamente lo liquidano con un colpo tra gli occhi che si ostinano a scrutare una traccia di legame perso.
Preda per sopravvivere e diventa schivo in quanto preda.
Prega?
No. Il cane aveva in terra quello che alcuni bramano in cielo.
Aveva.
Sono malati, spesso rabbiosi. Sono in branco e non aggrediscono se non minacciati. Si lasciano avvicinare. Hanno malformazioni e vivono poco. Hanno la pelle radioattiva. Si lasciano accarezzare. Hanno cuccioli che non sopravvivono. Vagano. Sono impotenti vittime di un disastro che per loro non è nemmeno mai esistito, sono progenie e vittime di un trascorso che non conoscono. Sono cani.
Sono di Chernobyl.
Siamo noi.
(Scritto da Beppe Petardo)
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A fronte di una tragedia spaventosa, che ha causato la morte di non so quante migliaia di persone, per quel che ci dicono poi, rispetto a quanto nascondono, quante altre tragedie passano inosservate e magari considerate di poco conto, perché al centro di qualsiasi tragedia la parte del leone la fanno sempre gli esseri umani?
Chissà quanto sarà stato straziante, per alcuni, separarsi dagli amati compagni e i tanti traumi provati dai poveri animali. Il trauma dell'abbandono al quale tanti cani sono sottoposti anche qui da noi, senza il bisogno di una catastrofe nucleare. Un trauma terribile che le povere bestiole non si sanno spiegare e molte di loro, se non incontrano qualche persona soccorrevole, sono condannate a morte certa.
E non si parla dei gatti poi. Anche per i gatti lo stravolgimento della realtà familiare rappresenta un trauma che li riempie di apprensione, finché non riescono ad eliminarlo e se non ci riescono, anche per loro la vita diventa un calvario di sofferenza.
Pensiamo poi a tutti i poveri esseri viventi che popolavano i boschi e le campagne di quel disgraziato posto.
Una tragedia composta da milioni di piccole tragedie.
rm
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