Sant'Isidoro di Siviglia

Oggi - 4 aprile 2024 - Giovedì fra l’Ottava di Pasqua, tempo omonimo, la Chiesa ricorda Sant’Isidoro, indicato solitamente con la specificazione “di Siviglia”, vescovo e dottore della Chiesa. Dell’infanzia e della giovinezza di Isidorus o Isidoro, questo il suo nome in latino e nella natia lingua spagnola (analogo all’italiano), non si hanno notizie precise. Nacque verso il 560, verosimilmente a Cartagena, città portuale della Murcia, nel sud-est della Penisola Iberica (oggi capoluogo della comunità autonoma di Murcia, Spagna), durante il regno che i conquistatori Visigoti vi avevano instaurato. Era il quarto dei cinque figli di una nobile famiglia di estrazione ispano-romana, tutti entrati in religione e successivamente divenuti santi, ad eccezione di Teodosia, la sorella più piccola. I suoi fratelli erano Leandro (534-600), Fulgencio (Fulgenzio, morto nel 630) e Florentina (Fiorentina, morta nel 612). Quand’era ancora piccolo, unitamente a tutta la famiglia, si trasferì più a sud, a Siviglia (oggi nella regione dell’Andalusia, Spagna), dove - secondo alcuni agiografi - potrebbe anche essere nato. Questa città, infatti, era considerata più sicura dopo l’invasione dell’Hispania (Spagna) da parte dei Visigoti e più idonea a sfuggire all’orrore e alla devastazione che quei barbari si lasciavano alle spalle, oltre che all’eresia ariana che propugnavano. Rimasto orfano, l’educazione gli fu assicurata specialmente dal fratello maggiore Leandro, sacerdote e poi vescovo di Siviglia, che gli fece frequentare la scuola che egli stesso aveva fondato presso la cattedrale cittadina. Seguendo una precoce vocazione, entrò anch’egli in seminario e fu analogamente ordinato sacerdote. Attorno al 600 o 601 circa, alla morte del germano vescovo, fu eletto suo successore alla guida di quella diocesi, dove rimase diligentemente per ben trentacinque anni. Era ormai un uomo intellettualmente maturo, di profondissima cultura, anche grazie alla ricca biblioteca che aveva ricevuto in eredità e della quale faceva ampio uso. Scriveva opere di grande erudizione, mosso sempre da zelo pastorale e, infatti, non fu solo un uomo di cultura ma anche un ottimo ed efficace Pastore di anime. Era così conosciuto e stimato che altri vescovi e autorità venivano da lui per consultarsi o per richiedere il suo intervento su questioni ecclesiastiche e civili. Organizzava sinodi locali e concili, che poi presiedeva con capacità e fermezza: come quelli provinciali di Siviglia del 619 e del 625, e il IV nazionale di Toledo del 5 dicembre 633, che grazie a lui contribuirono a promuovere importanti decreti. Nell’ultimo, dove per la sua opera fu definito “Dottore insigne, gloria più recente della Chiesa Cattolica”, fece accettare e diffondere la preghiera del cosiddetto “Credo Niceno-Costantinopolitano”, basata sulla teologia della Trinità e dell’Incarnazione, come definizione corretta della fede, basata sul concetto cristologico del “Filioque”. Tal espressione latina significa "e dal Figlio", e deve la sua importanza al fatto di essere stata aggiunta al testo del predetto “Credo”, nella parte concernente lo Spirito Santo: “Qui ex patre (filioque) procedit”, cioè "che procede dal Padre (e dal Figlio)". Tale aggiunta fu però ritenuta eretica dal patriarca di Costantinopoli, e fu una delle ragioni di quello che sarà il Grande Scisma d'Oriente del 1054. Nel Concilio di Toledo, fu anche raggiunto un accordo tra i vescovi per l’uniformità liturgica in tutta la Spagna. Un passo importante, giacché la difformità in liturgia era fonte di continue diatribe dottrinali. Ogni diocesi, inoltre, avrebbe dovuto dotarsi di una Scuola di formazione per il clero, sull’esempio di quella già presente a Siviglia. Anche importante fu, in un’epoca di ostilità verso i giudei, che il concilio avesse stabilito come nessun ebreo (numerosi nel territorio), poteva essere costretto a diventare cristiano. Ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politico-religiose della Penisola Iberica dominata dai Visigoti, contribuendo alla loro conversione dall'arianesimo, e come promotore e massimo rappresentante di un risveglio della cultura e delle lettere. I suoi interessi culturali abbracciarono tutto il campo dello scibile del tempo: le arti liberali, il diritto, la medicina, le scienze naturali, la storia, la teologia dogmatica e morale. Scrisse molto e su vari argomenti, opere di carattere culturale e dottrinario scrivendo di scienza, storia, teologia, morale ed esegesi biblica. In particolare una storia universale, la “Chronica Maiora” e una Storia dei Goti, Vandali e Svevi, la “Historia de Regibus Gothorum, Wandalorum, et Suevorum”; e opere di esegesi, tra cui la “Questiones in Vetus Testamentum e Allegoriae quaedam Sacrae Scripturae”, una spiegazione in chiave allegorica degli episodi delle Sacre Scritture. Si occupò di grammatica con una raccolta di sinonimi “Synonymorum” in due libri e con il trattato “Differentiae”. Comunque, il suo capolavoro, che influenzò in larga misura la cultura del Medioevo, è l'opera “Etymologiae” in venti libri, enciclopedia di tutto lo scibile del tempo, composta prendendo come spunto le etimologie dei vari termini. Negli ultimi anni di vita era molto malandato e sofferente, soprattutto allo stomaco. Quando la malattia si acuì, sentendosi vicino alla fine, chiamò due suoi amici vescovi perché lo assistessero nell’ultima ora e, da questi, si fece accompagnare a ricevere i sacramenti nella Basilica di San Vincenzo, una grande moltitudine di popolo, con forti grida e pianti, lo accolse e lo accompagnò. Nella Basilica, dopo aver ricevuto la penitenza, chiese perdono a tutti i presenti e ricevette l’Eucarestia. Tornato nel suo alloggio, spirò quattro giorni dopo, il 4 aprile 636. Venne sepolto nella cattedrale di Siviglia ma, nel 1063, le sue spoglie mortali furono trasferite nella città di Leon (regione della Castiglia e Leon, Spagna), dove si trovano tuttora nella Real Collegiata Basilica di Sant'Isidoro, a lui dedicata. Fu proclamato santo e, quasi un secolo dopo la sua morte, fu dichiarato dottore della Chiesa da papa Innocenzo XIII.
Roberto Moggi
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