Sant’Anselmo d'Aosta

Oggi - 21 aprile 2024 - IV domenica di Pasqua, la Chiesa ricorda Sant’Anselmo, indicato anche con la specificazione “d’Aosta” o “di Canterbury”, vescovo e dottore della Chiesa. Anselmus (Anselmo), questo il suo nome in latino, nacque nel 1033 ad Aosta, all’epoca appartenente alla Contea di Savoia (oggi capoluogo della regione Valle d’Aosta, che si trova in mezzo alle Alpi occidentali, che qui si articolano nei settori delle Alpi Graie e delle Alpi Pennine, nell’Italia settentrionale). Era il rampollo della nobile e potente famiglia formata da Gandolfo ed Ermemberga. Il padre, molto impegnato nei commerci, poco si curò dell’educazione del figlio e ne ostacolò la precoce vocazione alla vita consacrata. La madre, invece, donna di profonda fede e pietà, fu sempre dalla sua parte e gli diede la prima formazione religiosa. Verso il 1048, appena quindicenne, prese la decisione di consacrarsi al Signore, ma la repentina perdita della madre e la resistenza paterna lo distolsero dal suo proposito. Duramente provato, si abbandonò per un po' di tempo al malevolo influsso della mondanità, negli agi e nei vizi. Di conseguenza, il suo spirito si raffreddò e il mondo con i suoi fugaci piaceri gli parve affascinante, tanto che il suo cuore inesperto vi si attaccò. Il Signore però fu paziente e lo aspettò, aiutandolo a rialzarsi dalla caduta attraverso lo stesso suo padre. Quest’ultimo, infatti, trattava il figlio duramente, tanto da costringerlo ad allontanarsi di casa per cercare altrove un migliore avvenire. Anselmo valicò le Alpi e per tre anni andò ramingo nel Regno di Francia, senza meta e scopo alcuno, spingendosi sempre più a nord, fino al Ducato di Normandia. In questo periodo di crisi spirituale, tuttavia, ebbe modo di riflettere profondamente sul senso della propria vita, fino a quando, in Normandia, la sua mai sopita vocazione lo spinse a entrare come novizio nell’abbazia benedettina di Nostra Signora del Bec (Abbaye Notre-Dame du Bec), nell’omonima località (oggi Le Bec-Hellouin, Francia). Qui era maestro dei novizi il vescovo Lanfranco di Pavia (1005-1089), celebre teologo, filosofo e futuro Beato, che ne divenne il precettore. Anselmo trovò finalmente la pace e grande diletto nello studio, mentre il suo animo sensibile, che non aveva retto ai maltrattamenti paterni, trovò nel suo insegnante Lanfranco un “nuovo genitore” che lo amava teneramente, facendogli meglio conoscere Gesù Cristo. Allora ripresero vita nell'anima sua i giovanili propositi e i santi desideri di perfezione, tanto da decidere risolutamente d'abbandonare ogni velleità mondana e restare nell’abbazia del Bec entrando formalmente nell'Ordine Benedettino. In seguito fu ordinato sacerdote e, nel 1066, dopo soli tre anni di permanenza nell’abbazia, ne divenne il priore e contemporaneamente il direttore della scuola annessa, acquistando un grandissimo ascendente per acutezza d'ingegno e straordinaria affabilità, tanto che, nel 1078, fu anche eletto abate. In seguito fu chiamato in Inghilterra dal suo antico istitutore, il vescovo Lanfranco di Pavia, che vi si era stabilito per evangelizzarne il popolo. Anselmo accettò volentieri l’invito e vi si trasferì. Nell’isola britannica riorganizzò la vita monastica e nel 1093 fu eletto arcivescovo di Canterbury, diocesi nella parte sud orientale dell'isola. In terra inglese intraprese con grande energia la riforma dei costumi e si oppose all'invadenza del potere politico nell'ambito religioso. Per questo dovette sopportare un drammatico confronto con i vescovi locali più anziani, assoggettati al potere temporale, e un vero e proprio scontro con i re d’Inghilterra Guglielmo II detto “Rufus”, cioè “il Rosso” (dal 1087 al 1100) e il successore Enrico I (dal 1100 al 1135). È ammirabile la fortezza che manifestò Anselmo, che ebbe tanto a soffrire, sia da parte dei confratelli nell’episcopato, sia da parte dei due sovrani, specialmente di Enrico I, che giunse a esiliarlo, ma a questi e quelli egli ricambiò offese e sofferenze con atti di squisita carità. Dopo alcuni anni d'esilio, alla fine si riconciliò pure con Enrico I e fu richiamato alla sua sede primaziale di Canterbury, ove e passò i suoi ultimi anni fra gli studi e il lavoro pastorale. Qui, il 21 aprile 1109, Venerdì Santo, santamente rese l'anima al Signore che tanto generosamente aveva servito, venendo inumato nella sua cattedrale, dove tuttora riposa. Il pensiero di Anselmo, che è anzitutto quello di un teologo, può essere sintetizzato nell’efficace formula da lui coniata: “Credo ut intelligam” (Credo per capire). Tante sono le opere che esplicano la sua posizione filosofica, scritte per lo più tra il 1076 ed il 1102. Particolarmente importante è il “De veritate” (Sulla verità), un saggio di teologia in forma di dialogo che Anselmo scrisse nel 1080-1085. Fa parte, insieme al “De libertate arbitrii” (Sulla libertà dell'arbitrio) e al “De casu diaboli” (La caduta del diavolo), di una trilogia dedicata ai problemi della verità, della rettitudine, del male, dell'onnipotenza divina e del libero arbitrio. Il De veritate, primo in ordine logico (anche se non è chiaro in che ordine cronologico furono composte le tre opere), analizza in particolare il rapporto sussistente tra la virtù morale, la verità e la giustizia. Anselmo è definito, a ragione, il primo degli “Scolastici”, ossia di quei filosofi che ripresero lo studio della filosofia del grande filosofo greco antico Aristotele (385 a.C.-323 a.C.), “cristianizzandola”. Anselmo fu canonizzato nel 1163 e proclamato, per il merito dei suoi scritti e della sua dottrina, dottore della Chiesa nel 1720 da papa Clemente XI (1649-1721). 
Roberto Moggi
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