Oggi
- 17 aprile 2024 - mercoledì della III settimana di Pasqua, la Chiesa
ricorda, tra i vari santi e beati, San Roberto, noto con la
specificazione “di La Chaise-Dieu” o “di Turlande”, abate e fondatore.
Di Robertus (Roberto), questo il suo nome in latino, si hanno pochissime
notizie prima del suo ingresso nella vita religiosa. Sua madre, della
nobile famiglia Turlande, incinta e sorpresa dalle doglie del parto
durante un viaggio verosimilmente
attorno all’anno 1000, lo diede alla luce nel mezzo d’un bosco non
lontano dal villaggio di Orlhac, nella regione dell’Auvèrnhe
appartenente al Regno dei Franchi (oggi Aurillac, nella regione Auvergne
del centro-sud della Francia). Ancora in tenera età, fu affidato dai
genitori al clero della Basilica di San Giuliano, nella vicina cittadina
di Briuati (oggi Basilique de Saint-Julien de Brioude a Brioude,
Auvergne), perché fosse istruito convenientemente e formato nella
religione cattolica. Alla scuola di quegli eccellenti maestri, andò
arricchendosi nella fede come nella cultura, maturando una solida
vocazione religiosa, tanto che presto fu ammesso alla tonsura, il rito
che all’epoca segnava l'ingresso dei postulanti nello stato clericale.
Dopo essere stato ordinato sacerdote in data imprecisata, meritò la
nomina a canonico della stessa Basilica, dove sovente passava la notte
in preghiera e, tutti i giorni, si prendeva cura dei poveri e dei malati
che accorrevano da lui, fino a lavarne e curarne le più purulente e
infette piaghe. Poi, per curarli più adeguatamente, fece costruire in
loco un ospedale e ve li accolse. Cominciarono a manifestarsi per suo
tramite eventi prodigiosi e, al contatto delle sue mani, diversi malati e
storpi venivano immediatamente guariti. Roberto, che celebrava ogni
giorno la santa messa con grande devozione, convertì molti peccatori
grazie all’ardente predicazione della Parola di Dio e all'esercizio
delle virtù. Ciononostante, nella sua umiltà, si riteneva un servo
inutile e il peggiore tra tutti. Ad un certo punto, però, l'amore per la
contemplazione gli ispirò il desiderio di abbandonare completamente il
mondo, per darsi più completamente a Dio nella solitudine, sul modello
dei monaci dell’Abbazia di Cluny, nella regione della Bourgone (nel
centro-nord dell’attuale Francia). Quella di Cluny, una delle numerose
Congregazioni che nacque dall'Ordine di San Benedetto, in quel tempo
godeva grande reputazione in tutta Europa, perché i suoi monaci vivevano
in modo conforme al primitivo rigore della Regola Benedettina. Così si
presentò e venne accolto nella predetta Abbazia, sede principale della
spiritualità del suo tempo, rimanendovi ininterrottamente per circa
quarant'anni. Durante questo lungo lasso di tempo, conformemente alla
consuetudine di allora, non tralasciò di recarsi in pellegrinaggio a
Roma sulla tomba dei Principi degli Apostoli Pietro e Paolo e, avendo
progettato di fondare un nuovo ordine monastico, si apprestò a
contattare e chiedere l'approvazione al papa Benedetto IX. Il pontefice,
ricevutolo, accolse le sue intenzioni e lo incoraggiò a ritirarsi, con i
due compagni fidati dei quali aveva fornito i nomi, in una
precedentemente individuata zona boschiva nel sud-est della sua
Auvergne. Così Roberto e i due seguaci, privi di ogni cosa ma
rallegrandosi della loro indigenza, si trasferirono nella regione
prescelta e si insediarono nel rudere di un vecchio convento
abbandonato. I pochi rozzi abitanti del circondario, però, furono loro
inizialmente ostili. Invece di assisterli e aiutarli, li contristarono e
costrinsero all’isolamento con ingiurie e minacce, ritenendoli forse
dei fannulloni. Ma gli eremiti non si persero d'animo per questo, anzi,
in mezzo alle rovine riuscirono a ricavare un oratorio in cui radunarsi a
pregare nelle ore stabilite del giorno e della notte, attorno al quale
costruirono con frasche delle piccole celle. Ben presto la loro fama si
sparse e cominciarono a giungere sul posto giovani, adulti e anziani
desiderosi di condividere con loro quella austera vita di preghiera e
lavoro. Così, mentre i due confratelli, più giovani e forti, attendevano
principalmente ai lavori manuali e alla coltivazione della terra per la
comune sussistenza, Roberto si dava maggiormente all’accoglienza e
all'istruzione di quanti chiedevano di abbracciare quel genere di vita.
Oltre che pregare insieme, essi prendevano pure insieme il cibo frugale
e, senza preoccuparsi del domani, distribuivano ai poveri e ai viandanti
buona parte del magro raccolto. La fama delle penitenze, delle
elemosine e delle preghiere di quei monaci così isolati si diffondeva
sempre più e, di pari passo, l'avversione nei loro confronti da parte
degli abitanti del luogo, poco a poco cessò. Anzi, anche diversi giovani
e consacrati autoctoni chiesero e ottennero di unirsi ad essi per
consacrare a Dio il restante della loro vita. Non era impossibile
infatti sottrarsi al fascino degli esempi di Roberto, rimanere
insensibili alle sue esortazioni, non riconoscere la mano di Dio nei
prodigi che operava a favore dei malati e degli ossessi, benché, per
modestia, li attribuisse ai santi Agricola e Vitale, ai quali l'oratorio
era stato dedicato. Il numero degli eremiti divenne ben presto così
considerevole che si ritenne necessario costruire un vero e proprio
monastero per ospitare tutti e garantire la vita di comunità e la buona
formazione degli aspiranti alla vita religiosa. Generosi benefattori
contribuirono all'esecuzione dell'opera, offrendo denaro, fornendo
manovalanza o destinando beni considerevoli al sostentamento dei futuri
monaci. In tale maniera fu possibile a Roberto fondare, nel 1050 (ma
altre fonti sostengono nel 1044), l'abbazia che fu denominata
inizialmente in latino “Casa Dei” (“Casa di Dio”), nome trasformatosi
con il tempo nel francese “Chaise-Dieu” (letteralmente “Sedia di Dio”,
nel senso di “Sede” o appunto “Casa” di Dio). Il vescovo di Clermont,
competente per territorio, andò personalmente alla corte del papa e
futuro santo Leone IX (dal 1049 al 1054) per ottenere la necessaria
autorizzazione all'erezione canonica della nuova abbazia. Roberto, dal
canto suo, si recò alla corte del re di Francia, Enrico I (dal 1027 al
l060), per fare ratificare le donazioni che erano state fatte.
Allorquando furono entrambi di ritorno, il vescovo fece la dedicazione
del monastero, diede l'abito ai primi monaci ed elesse lui come loro
primo abate, secondo quanto aveva deciso il pontefice. Ai religiosi, che
in poco tempo raggiunsero il numero di trecento, Roberto impose la
regola di San Benedetto. Tuttavia egli non limitò il suo zelo all'ambito
del monastero, ma si adoperò per ristabilire il culto divino in più di
cinquanta chiese della regione che erano state danneggiate dalle varie
guerre e lotte intestine locali. Dio gli fece conoscere il giorno in cui
sarebbe tornato alla Casa del Padre e, una volta che questo fu
arrivato, prima di mettersi a letto in attesa della morte, volle
celebrare l'ultima messa facendosi sostenere sull'altare. Poi convocò i
discepoli, li abbracciò uno ad uno e li esortò a continuare a lavorare
per la propria santificazione. Morì nella nuova Abbazia di La
Chaise-Dieu, il 17 aprile 1067. Al momento del trapasso un monaco vide
l'anima di Roberto salire al cielo sotto la forma di un globo di fuoco.
Fu sepolto nella stessa abbazia dove ancora oggi i suoi resti riposano
in un prezioso reliquiario a forma di busto. Per i grandi miracoli che
avvenivano sulla sua tomba, papa Clemente VI, che era stato abate della
stessa abbazia, lo canonizzò nel 1351 ad Avignone, all’epoca sede del
papato.
Roberto Moggi
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