San Martino I Papa

Oggi - 13 aprile 2024 - sabato della II settimana di Pasqua, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di San Martino I, papa e martire (obbligatoria nella diocesi di Roma). Della sua vita prima dell’elezione al Soglio Pontificio, si conosce pochissimo. Nacque verosimilmente sul finire del VI secolo o all’inizio del VII a Todi, in Umbria, all’epoca appartenente all’Impero Romano d’Oriente o Bizantino (oggi in provincia di Perugia, regione Umbria). Attratto dalla vita religiosa, intraprese i necessari studi e fu consacrato presbitero, raggiungendo presto incarichi di alta responsabilità, come quello di “Apocrisiario del papa” (in latino “Apocrisiarius”), che era in epoca bizantina un alto rappresentante diplomatico, una sorta di ambasciatore. Sotto tale veste, fu inviato dal pontefice Teodoro I (dal 642 al 649) alla corte di Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, dov’era ovunque rispettato e tenuto in grande considerazione per saggezza e virtù. Tanto grande era il prestigio di cui universalmente godeva, che nel luglio 649, alla morte di Teodoro I, fu eletto al seggio papale con il nome di Martino I. Mostrò subito di possedere una forte tempra e un carattere risoluto, difendendo le prerogative della Chiesa fin dal primo momento, tanto che non attese il consenso alla propria nomina da parte dell’Imperatore bizantino Costante II (dal 641 al 668), secondo la prassi stabilita dall’Imperatore Giustiniano I “Il Grande”, che durò più di due secoli, dal 537 al 752. Una tale irregolarità rendeva giuridicamente illegale l'elezione, ma lui, forte dell’appoggio del clero e del popolo di Roma, che già da qualche tempo mostravano segni d’insofferenza nei confronti dell'autorità bizantina, agì in aperta sfida all'imperatore. Uno dei suoi primissimi atti da pontefice, fu la coraggiosa convocazione del primo Concilio Lateranense, tenutosi nell’ottobre del 649 per condannare il “Monotelismo”, un’eresia che attribuiva a Cristo la sola volontà divina negandone la sussistenza con la volontà umana, minando perciò il senso di tutta l’economia della salvezza. Questa eresia, aveva dato vita a una controversia che durava da molti anni, tra Santa Sede da una parte e imperatore bizantino dall'altra, che la sosteneva spalleggiato dal patriarca di Costantinopoli. I vescovi riuniti in concilio stigmatizzarono gli errori del Monotelismo, denunciando come eretici sia l’editto chiamato in greco “Ekthesis” (“Esposizione della fede”), scritto dal patriarca di Costantinopoli Sergio I e promulgato nel 638 dall’imperatore bizantino Eraclio I; sia quello denominato “Typos” nella stessa lingua (letteralmente “Figura”, sottinteso “di Cristo”), emanato nel 648 da Costante II su impulso del patriarca Paolo II, con il quale l’imperatore proibiva ogni altra discussione sul Monotelismo. Siffatto divieto costituiva, invero, un attacco ai principi dogmatici fissati solennemente nel Concilio di Calcedonia del 451 e ignorava l’autorità del papa e la sua prerogativa di confermare nella fede tutta la Chiesa. L’imperatore reagì inviando a Roma l’esarca (alto dignitario dell'Impero bizantino) Olimpio, con l’ordine di costringere il pontefice e la Chiesa di Roma ad accettare il “Typos”. Papa Martino, però, non si lasciò intimorire e restò saldo nelle sue decisioni. Allora Olimpio, forte della sua importante carica e degli espliciti ordini scritti dell’imperatore di Costantinopoli, si rivolse all’esercito imperiale stanziato nell’Urbe per fare arrestare il pontefice, senza riuscire a ottenerlo, dato che esso era composto in massima parte da romani fedeli al papato. A questo punto, Olimpio progettò nientemeno che l’assassinio di papa Martino, ordinando a un suo fido scudiero di pugnalarlo in un giorno prestabilito, durante la Santa Messa che egli celebrava abitualmente nella basilica capitolina di Santa Maria Maggiore. Il sacrilego piano criminoso ebbe effettivamente attuazione, ma, all’atto di colpire il Santo Padre - riferisce il Liber Pontificalis - lo scudiero rimase prodigiosamente abbagliato da una luce fortissima e temporaneamente accecato, lasciando cadere la sua arma. Martino rimase illeso, mentre Olimpio, convintosi che il suo antagonista fosse protetto da Dio, si pentì e cambiò atteggiamento, al punto che si ribellò all’imperatore e assunse il potere, con l’aiuto dell’esercito imperiale in Roma, nei territori bizantini della Penisola Italiana, che governò autonomamente mantenendo il titolo di esarca, dal 649 al 652, quando trovò la morte durante una spedizione militare in Sicilia. L’imperatore Costante II, preso atto del tradimento, inviò in Italia un nuovo esarca, Calliopa, questa volta a capo di un esercito, che riuscì a circondare con l’inganno il palazzo pontificio del Laterano. Il 15 giugno 653 vi catturò papa Martino, seriamente ammalato, e lo deportò a Costantinopoli. Arrivato nella capitale dell’Impero al termine di un viaggio estenuante, Martino fu prima detenuto in isolamento per tre mesi e poi condannato a morte dopo un solo giorno di processo, con l’ingiusta accusa di alto tradimento contro lo Stato. Ebbero l’ardire di spogliarlo degli abiti pontificali, lo misero in catene e lo riportarono in carcere, trascinandolo seminudo per le strade di Costantinopoli. Il locale patriarca Paolo II, anch’egli malato e ai suoi ultimi giorni terreni, mossosi a pietà per tanto oltraggioso e feroce accanimento, intercedette presso l’imperatore per l’antico avversario Martino, facendogli mutare la condanna a morte nell’esilio. Il Santo Padre, di cui si conservano diciassette lettere, passò altri quindici durissimi mesi di prigionia a Costantinopoli, ma rimase sempre saldissimo nella fede. Fu infine deportato nella lontana Cherson, centro principale dell’omonima regione nell’entroterra della Penisola di Crimea, vicino al Mar Nero (oggi territorio conteso tra Ucraina e Russia), dove morì tra gli stenti il 16 settembre 655. Fu sepolto nella chiesa della Madonna di Blachernae presso Cherson. La sua salma, oggetto di culto per i molti miracoli attribuiti alla sua intercessione, fu poi trasportata a Roma e sepolta forse nella centralissima chiesa di San Martino ai Monti, ma se ne sono perse le tracce. 
Roberto Moggi
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