Oggi
- 25 aprile 2024 - giovedì della IV settimana di Pasqua, la Chiesa
celebra la festa di San Marco evangelista. Delle sue origini si conosce
poco e si ritiene per lo più che sia stato un ebreo nato nella Palestina
romana, durante il regno dell'imperatore romano Gaio Giulio Cesare
Augusto, dal 27 a.C. al 14 d.C., anche se, secondo altre fonti, potrebbe
essere un giudeo nato nell’isola di Cipro o a Cirene di Libia, nello
stesso periodo. Dalla Sacra Scrittura,
si evince come egli avesse due nomi: “Marcus” (Marco), di origine
romana e gentile (appellativo derivato dal latino biblico “gentes” o
“gentiles”, che designa tutte le genti non giudaiche partecipi dei
costumi e della cultura greca nel mondo romano, in opposizione al popolo
israelita, col significato di “pagani”), e uno ebreo, normalmente
traslitterato in alfabeto latino come “Yehochanan” o “Yehohanan”
(Giovanni), com’era a quel tempo uso abbastanza comune tra gli
israeliti. Negli Atti degli Apostoli, infatti, è indicato sia con il
nome di Giovanni, sia con quello di Marco o con entrambi. Attraverso la
Lettera ai Colossesi di San Paolo apostolo (Col 4, 10), unica fonte
d’informazioni su di lui, sappiamo che Marco era cugino di San Bàrnaba
(primi anni del I secolo d.C. - 61 d.C.), chiamato apostolo, anche se
non apparteneva al gruppo dei Dodici, uno dei più stretti collaboratori
di San Paolo stesso. Marco sarebbe stato quindi un ebreo di stirpe
levitica (la tribù “sacerdotale”), figlio di una cristiana di nome Maria
che abitava a Gerusalemme. Marco è l’autore del Vangelo più breve,
scritto in greco con sole 11.229 parole, considerato dagli studiosi
anche come il più antico e quello cui hanno attinto soprattutto gli
evangelisti Matteo e Luca. Non si sa se Marco conobbe direttamente Gesù,
poiché questa informazione non ci è pervenuta da nessuna fonte. Ma,
dato che abitava a quel tempo a Gerusalemme, ciò potrebbe essere.
Comunque, anche se non vi sono prove certe in merito, egli è l'unico
evangelista a menzionare l’episodio della fuga del giovinetto, che
seguiva da lontano la cattura di Cristo nell'Orto degli Ulivi (Mc 14,
51-52), facendo pertanto supporre ad alcuni studiosi che sia stato egli
stesso quel giovinetto e che, quindi, abbia effettivamente conosciuto il
Messia. Marco, come il cugino Bàrnaba, partì con l’apostolo Paolo nella
prima delle sue missioni evangelizzatrici (Col 4, 10), ma, durante quel
viaggio, mentre si trovavano nella città di Perge, capitale della
provincia romana della Panfilia (sulla costa mediterranea
sud-occidentale dell’odierna Turchia asiatica), decise improvvisamente,
per motivi sconosciuti, di rientrare a Gerusalemme. Paolo non ne fu
contento e non lo volle nella sua seconda missione, contro il parere di
Bàrnaba. Nel 52 d.C., tuttavia, come narrano gli Atti degli Apostoli,
Marco riuscì a partire ancora con suo cugino per Cipro (At 15, 37-40) e,
più avanti, l’Apostolo delle Genti si riconciliò con lui e tornò a
volerlo come collaboratore, invitando i cristiani di Colossi, città
della Frigia (oggi nella parte centro-meridionale della Turchia
asiatica) dove l’aveva inviato, ad accoglierlo con affetto come suo
rappresentante. Marco ebbe anche un altro rapporto importante con
l’apostolo Pietro. Negli Atti degli Apostoli troviamo il riferimento
all’abitazione di sua madre in Gerusalemme, quando Pietro, liberato
miracolosamente dalla prigione, vi cercò rifugio: “… Dopo aver
riflettuto, (Pietro) si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto
anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in
preghiera …” (At 12, 12). Marco è citato anche nella prima lettera di
Pietro, quando quest’ultimo scrive: “… Vi saluta la comunità che è stata
eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio …” (1
Pt 5, 13). È quasi certamente in conseguenza di questa relazione tra
“maestro-padre” (Pietro) e “discepolo-figlio” (Marco), che egli divenne
evangelista. Prova di ciò sarebbe la citazione fatta quasi un secolo
dopo, attorno al 130 d.C., dal vescovo Papia della città greca di
Hierapolis (l’attuale Pamukkale in Turchia asiatica), che, riguardo
all’origine dei Vangeli, riporta una memoria da lui ricevuta attraverso
un “presbitero di sua conoscenza”, appartenente all’epoca degli
apostoli, ossia un testimone della prima generazione cristiana. Questo
ricordo dice: “… Divenuto interprete di Pietro, Marco scrisse
accuratamente tutte quante le cose dette e fatte dal Signore che
ricordava, ma non in ordine. Egli non aveva ascoltato il Signore né
l’aveva seguito, ma solo aveva accompagnato Pietro…”. La testimonianza è
molto interessante per conoscere la via attraverso la quale Marco, che
non era stato discepolo diretto di Gesù, aveva potuto elaborare il suo
Vangelo. Pietro era, dunque, la sua fonte primaria, come lo erano
probabilmente altri documenti che già circolavano in quegli anni,
andando dal 65 al 70 d.C. Tra questi, ad esempio, un primo racconto
della passione, morte e resurrezione di Cristo, oppure una raccolta di
detti del Signore, quella che gli studiosi chiamano “Fonte Q” o
“Documento Q”, un'ipotetica "fonte" (in tedesco “Quelle”, da cui “Q”)
che si suppone sia stata utilizzata nella composizione dei Vangeli
sinottici del Nuovo Testamento (Matteo, Marco e Luca). Certo è che agli
occhi degli esegeti moderni il Vangelo di Marco è tutt’altro che
disordinato, come supponeva il vescovo Papia. La tradizione ha
accantonato per secoli il Vangelo di Marco, a causa della sua brevità e,
poiché il suo testo è stato usato da Matteo come fonte (tanto che ben
606 dei 666 versetti di Marco si ritrovano - sia pure rielaborati -
nello scritto evangelico di quest’ultimo), gli preferì proprio il più
ampio e solenne Matteo, al punto che il grande Sant’Agostino, nel suo
“De consensu evangelistarum” (“Il consenso degli evangelisti” I, 2, 4)
giungeva a scrivere: “Marco è valletto e compendiatore di Matteo … è il
più divino degli abbreviatori”, invertendo così il rapporto di
dipendenza e cancellando ogni originalità di Marco. In realtà il testo
di Marco ha una sua creatività narrativa, ha un suo stile, offre una sua
prospettiva interpretativa della figura di Cristo, pur fondandosi sulla
memoria e sulla testimonianza oculare di Pietro. Il suo è uno stile
secco, scandito da frasi brevi aperte da un “kai” (in greco “e”), ma
capace di vivacità, tant’è vero che la sua povertà apparente di
linguaggio (egli usa un vocabolario di sole 1.345 parole diverse)
affascina il lettore moderno, abituato all’immediatezza dello stile
giornalistico. Tuttavia, è soprattutto l’impostazione generale del
racconto, ossia la struttura del suo scritto, ad attrarre non solo il
credente ma anche chi è in ricerca e vuole conoscere il mistero
dell’uomo Gesù di Nazaret. Infatti, Marco conduce per mano il lettore
attraverso una sorta di “spazio posto in ombra”, che dura per i primi
otto capitoli del suo testo. Gesù sembra nascondersi, cela la natura
profonda del suo essere, rifiuta la pubblicità: è quello che gli
studiosi hanno definito come “il segreto messianico”. Anche i miracoli
sono compiuti da Gesù in disparte dalla folla. Siamo, quindi, di fronte a
un uomo, Gesù, che sollecita domande ma rifiuta risposte semplici e
chiarificatrici, troppo sbrigative. È solo a metà percorso che si ha il
primo svelamento, quando Gesù accetta la definizione che Pietro gli
attribuisce: “Tu sei il Cristo” (Mc 8, 28 - 29), cioè il Messia. In ogni
caso, subito dopo, lo stesso Pietro dimostra di non aver compreso la
vera natura di quel messianismo, che non è “politico-nazionalistico” né
trionfale, bensì affidato alla donazione totale di sé. Ed ecco, allora,
il cammino finale di Gesù verso Gerusalemme, sino alla vetta del
Golgota. Lassù sarà il Centurione romano, un pagano, a proclamare la
rivelazione piena del mistero che si cela in Gesù di Nazaret: “Veramente
quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 39). Nel suo testo, si parte con
l’uomo Gesù, a metà strada lo si riconosce come il Messia tanto atteso,
il Cristo, e alla fine lo si scopre come “Figlio di Dio”, quella realtà
profonda che il Padre celeste aveva proclamato proprio quando Gesù al
Giordano iniziava la sua missione: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in
te mi sono compiaciuto” (Mc 1, 11). La parabola terminale della vita di
Marco Evangelista c’è nota solo attraverso la tradizione, forse alonata
di leggenda. Dopo la morte di San Pietro, il “Principe degli Apostoli”,
avvenuta a Roma nel 64 - 67 d.C. circa, non vi sono più notizie certe su
Marco. Stando alla “Storia ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea
(265-340), Marco fondò la Chiesa di Alessandria d’Egitto, della quale
sarebbe stato il primo vescovo e dove sarebbe morto martire, anche se
non vi sono dati sicuri sul dove, come e quando. Eusebio sostiene che la
sua morte sia avvenuta nella sua diocesi, dove venne ucciso facendolo
trascinare legato ai cavalli per la città. Questa versione dei fatti è
riportata anche nella “Legenda Aurea”, raccolta medievale di biografie
agiografiche composta in latino da Jacopo da Varazze, frate domenicano e
vescovo di Genova, che va circa dall'anno 1260 fino alla morte
dell'autore nel 1298. I resti mortali dell’autore del secondo vangelo,
piamente raccolti nella città portuale egiziana, sarebbero stati
trasferiti a Venezia nel IX secolo. Si tramanda, infatti, che furono
trafugati con uno stratagemma da due mercanti veneziani nell'anno 828 e
trasportati a Venezia, dove pochi anni dopo sarà dato inizio alla
costruzione della basilica che ancora oggi li ospita. Una piccola
reliquia è pure conservata nella chiesa di San Marco in Città a Cortona
(provincia di Arezzo, regione Toscana), che condivide con Venezia lo
stemma comunale del leone alato (simbolo dell’evangelista) e il suo
patronato. Marco è rimasto inscindibilmente legato alla città lagunare,
come attesta la splendida basilica a lui dedicata e lo stupendo ciclo
musivo (relativo ai mosaici) biblico che la copre all’interno per almeno
quattromila metri quadri, con una sezione riservata appunto alla storia
del santo. Il simbolo a lui assegnato dalla tradizione - sulla base
della libera applicazione ai quattro Vangeli di un passo dell’Apocalisse
che introduce quattro esseri viventi simbolici - sarà il leone,
divenuto popolare anche nella storia dell’arte per indicare
l'evangelista. Marco è venerato come santo dalle varie Chiese cristiane,
tra cui quella cattolica, quella ortodossa e quella copta, che lo
considera proprio patriarca.
Roberto Moggi
Home page ARGOMENTI
Roberto Moggi
Home page ARGOMENTI
Commenti
Posta un commento
Non inserire link cliccabili altrimenti il commento verrà eliminato. Metti la spunta a Inviami notifiche per essere avvertito via email di nuovi commenti al post.