San Giuseppe Moscati

Oggi - 12 aprile 2024 - venerdì della II settimana di Pasqua, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giuseppe Moscati, laico. Giuseppe, questo il suo nome di battesimo, nacque il 25 luglio 1880 a Benevento (capoluogo dell’omonima provincia della regione Campania), settimo dei nove figli dell’agiata famiglia cattolica composta dal magistrato Francesco Moscati, all’epoca in servizio presso il tribunale di quella città, e dalla nobildonna Rosa De Luca dei marchesi di Roseto. Nel 1884 si trasferì a Napoli con la famiglia, dove iniziò gli studi liceali nel 1889. In questo periodo, già assiduo nella frequenza ai Sacramenti e fervoroso nella preghiera, ebbe modo di conoscere personalmente l’avvocato Bartolo Longo (1841-1926), che avrebbe poi fondato il Santuario della Madonna del Rosario a Pompei (in provincia di Napoli), futuro Beato, e Caterina Volpicelli (1839-1894), in seguito santa, che in quegli anni i suoi genitori frequentavano e ai quali erano molto legati, rimanendo affascinato dalle loro spiritualità. Nel 1892 iniziò ad assistere con amore e competenza infermieristica il fratello Alberto, giovane ufficiale di Cavalleria infortunatosi gravemente per una caduta da cavallo durante il servizio. Da questa esperienza cominciò a maturare la sua passione per la medicina, influenzata anche dalla sua acuta sensibilità verso le sofferenze del prossimo. Tuttavia, il suo sguardo non si fermava alle malattie esteriori, penetrava fino agli ultimi recessi del cuore umano. Voleva guarire o lenire le infermità, ma era, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo fossero un tutt'uno, desiderando ardentemente “sollevare” anche spiritualmente i sofferenti. Nel 1897 completò gli studi conseguendo la licenza liceale con voti brillanti e cominciò l’università presso la facoltà di medicina dell'ateneo partenopeo, mentre nello stesso anno moriva il padre. Il 4 agosto 1903, conseguita la laurea in medicina con pieni voti e “diritto alla stampa”, prese parte al concorso pubblico per medico “assistente ordinario” negli Ospedali Riuniti di Napoli e, quasi contemporaneamente, a quello per “coadiutore straordinario” nello stesso nosocomio. Nella prima selezione si classificò al secondo posto, mentre nell'altra fu primo assoluto, con un risultato così eccelso da fare sbalordire esaminatori e concorrenti. Incessante nella preghiera e nella partecipazione alla santa messa, riusciva sempre a rendere le sue giornate lavorative intensamente evangeliche. Tutti i giorni, si alzava molto presto al mattino per recarsi a visitare gratuitamente gli indigenti dei poverissimi “quartieri” del centro cittadino, prima di prendere servizio in ospedale per il lavoro quotidiano, mentre, nel pomeriggio, visitava i malati nel suo studio privato. Ammirevole era la sua umana partecipazione ai problemi di salute e spirituali dei pazienti, che si sommava alla grande competenza medica, senza però sottrarre mai tempo allo studio e alla ricerca clinica. Nell'aprile del 1906, mentre il Vesuvio iniziava ad eruttare ceneri e lapilli sulla vicina cittadina di Torre del Greco (in provincia di Napoli), mettendo in pericolo anche il piccolo ospedale locale, succursale di quello napoletano detto “degli Incurabili”, si recò prontamente sul posto, contribuendo a mettere in salvo gli ammalati e le principali attrezzature sanitarie, poco prima del crollo della struttura. Nel 1908, dopo aver superato brillantemente il concorso per assistente ordinario alla cattedra di chimica fisiologica della locale università, iniziò a svolgere attività di laboratorio e ricerca scientifica nell'Istituto di fisiologia. Nel 1911 un'epidemia di colera funestò Napoli ed egli fu chiamato a svolgere la sua opera presso l'Ispettorato della Sanità Pubblica, dove presentò una relazione sulle opere necessarie per il risanamento della città, in parte successivamente realizzate. Nello stesso anno, gli fu conferita la libera docenza in chimica fisiologica, su proposta del famoso professor Antonio Cardarelli (1831-1927), medico e senatore del Regno d’Italia, grande ammiratore del giovane medico Moscati. Fu anche socio della Reale Accademia Medico-chirurgica e direttore dell'Istituto di Anatomia Patologica. Solerte, laborioso, attento, stimato dai giovani medici che durante il tirocinio lo seguivano nelle visite ai pazienti, Giuseppe trovò anche il tempo per accudire egregiamente la madre, come figlio e come medico, assistendola fino alla morte sopraggiunta nel 1914. L’anno successivo, all’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale, presentò domanda di arruolamento volontario, ma la richiesta fu respinta poiché la sua opera fu giudicata necessaria in corsia, all’ospedale degli Incurabili, in favore dei tanti soldati feriti di ritorno dal fronte, che colà erano ricoverati e curati. Nel 1917 rinunziò alla prestigiosa cattedra universitaria e all'insegnamento, a cui aveva pieno diritto, pur di continuare il suo umile e instancabile lavoro in quell’ospedale e restare accanto pure agli infermi più miseri che gratuitamente assisteva in città. Il Consiglio d'Amministrazione del predetto nosocomio, però, lo nominò primario nel 1919, l’anno successivo alla fine della guerra, mentre nel 1922 conseguì la libera docenza in Clinica Medica generale, con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica, ad unanimità di voti della commissione. Divenne celebre e ricercatissimo nell'ambiente medico e culturale partenopeo e non solo, conquistando ben presto fama di portata nazionale e internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali furono pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere. Queste ricerche da pioniere, che si concentravano specialmente sulla macromolecola del Glicogeno (polìmero del glucosio analogo dell'amido) e argomenti collegati, gli assicurarono un posto d'onore fra i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo. Tuttavia Giuseppe continuò sempre la sua attività medica incentrata sulla carità e all'assistenza amorevole dei sofferenti, soprattutto nei quartieri più poveri e abbandonati della città, curandoli senza nulla pretendere e, anzi, aiutandoli anche economicamente. Comunque, non erano unicamente e neppure principalmente le doti geniali e i suoi successi clamorosi in campo medico-scientifico, a suscitare la meraviglia di chi lo avvicinava, né la sua sicura metodologia innovatrice nel campo della ricerca scientifica o il suo colpo d'occhio diagnostico fuori del comune. Più d’ogni altra cosa, infatti, era la sua stessa personalità che lasciava un'impressione profonda in coloro che lo incontravano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata di fede in Dio e di carità verso gli uomini. Giuseppe era uno scienziato di prim'ordine, per il quale non esistevano contrasti tra la fede e la scienza. Per lui la fede era la sorgente di tutta la sua vita, l'accettazione incondizionata, calda ed entusiastica della realtà di Dio. Egli vedeva nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo amava e lo serviva in essi. Tutti, ma in modo speciale chi viveva nella miseria, intuivano ammirati la forza divina che animava il loro benefattore. Così il dottor Moscati diventò apostolo di Gesù senza mai predicare, ma “annunciando” con la sua carità e con il modo in cui conduceva la vita di tutti i giorni e la professione di medico. Mentre gli anni trascorrevano, il fuoco dell'Amore sembrava divorarlo. L'attività esterna cresceva costantemente, ma si prolungavano pure le sue ore di preghiera e s’interiorizzavano progressivamente i suoi incontri con Gesù Sacramentato. Il 12 aprile 1927, dopo aver preso parte alla Messa come ogni giorno, e aver atteso ai suoi compiti in ospedale e nel suo studio, spirò improvvisamente seduto sulla sua poltrona, a soli quarantasette anni. La notizia fu annunciata e propagata di bocca in bocca in tutta la città di Napoli e oltre, con le parole: “È morto il medico santo!”, definizione che riassumeva tutta la sua vita. Alle esequie vi fu una grande partecipazione popolare. Fu sepolto a Napoli, nel cimitero cittadino del quartiere orientale di Poggioreale, ma il 16 novembre 1930 il suo corpo fu trasferito nella centralissima chiesa del Gesù Nuovo, dov'è tuttora. Il 16 novembre 1975, nel corso dell'Anno Santo, fu proclamato Beato dal papa San Paolo VI, mentre fu dichiarato santo il 25 ottobre 1987 dal pontefice San Giovanni Paolo II. La sua memoria liturgica è fissata al 12 aprile nel Martirologio Romano, data della scomparsa terrena. Tuttavia, per motivi pastorali, giacché tale data può cadere nei giorni tra la fine della Quaresima e l’Ottava di Pasqua, localmente si celebra il 16 novembre, giorno in cui, nel 1930, i suoi resti mortali furono trasferiti nella chiesa partenopea del Gesù Nuovo e nel quale fu beatificato nel 1975. 
Roberto Moggi
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