Oggi
- 2 aprile 2024 - martedì fra l’Ottava di Pasqua, tempo omonimo, la
Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Francesco di Paola,
eremita e fondatore. Francesco - questo il suo nome di battesimo -
nacque il 27 marzo 1416 a Paola, sulla costa tirrenica settentrionale
della Calabria, appartenente al Regno di Napoli (oggi in provincia di
Cosenza, regione Calabria), primogenito di una famiglia cattolica assai
praticante. I genitori, già anziani al
momento del suo concepimento, attribuirono la sua ormai insperata
quanto prodigiosa nascita all’intercessione di San Francesco d’Assisi,
al quale erano devoti e avevano chiesto la grazia di un figlio,
imponendogli per gratitudine il suo nome e promettendo di rivestirlo a
suo tempo, quale ex voto, dell’abito dei frati francescani. Quando ebbe
compiuto i quindici anni, infatti, fu accompagnato dal padre e dalla
madre presso il convento dei frati francescani di San Marco Argentano,
nello stesso distretto di Cosenza, per sciogliere il voto facendogli
prestare un anno di servizio nel convento, come di consuetudine
all’epoca. In questo luogo sacro, ebbe modo di conoscere meglio la sua
innata propensione alla preghiera e alla vita religiosa, mettendo in
luce doti di pietà, precocemente accompagnate da manifestazioni
soprannaturali che ne alimentarono la fama di taumaturgo. I frati ne
furono talmente positivamente colpiti che, al termine del suo anno di
permanenza, avrebbero voluto trattenerlo, ma il giovane, pur se attratto
dalla vita spirituale, sentendo vicino il tempo di una radicale scelta
di vita e avvertendo in sé lo spiccato desiderio di conoscere le diverse
forme di vita religiosa, preferì lasciare la comunità monastica.
Assieme agli ormai vecchi genitori, intraprese un lungo e faticoso
pellegrinaggio, recandosi prima nei luoghi francescani di Assisi, presso
Perugia, in Umbria; poi all’abbazia di Montecassino, nel basso Lazio; a
Roma; alla Santa Casa di Loreto, nelle Marche, e visitando i romitori
che costellavano Monte Luco, nel territorio di Spoleto, in Umbria. La
visita alla città di Roma lo turbò profondamente e rimase indignato per i
vizi, il lusso e i costumi rilassati, quando non triviali, che
v’imperversavano, dov’erano molti anche gli appartenenti al clero,
finanche il “più alto”, che davano scandalo. Con questa esperienza
negativa, tuttavia, egli rafforzò nel suo animo l’idea di una riforma
della vita ecclesiale basata sulla povertà e l’impegnativo
pellegrinaggio gli diede pure modo di riflettere e di decidere riguardo
al suo futuro e alla propria vocazione religiosa. Fu così che, tornato a
Paola, espresse il desiderio di condurre vita eremitica e, attorno al
1435, si ritirò fuori dell’abitato, in un minuscolo ricovero innalzato
in un terreno di proprietà della famiglia, suscitando grande stupore e
ammirazione fra i concittadini per l’austerità del suo modo di vivere.
Questa prima esperienza da eremita lo forgiò alla contemplazione, al
lavoro, alla solitudine, alle privazioni e alle mortificazioni
corporali. La sua fama si propagò velocemente e, ben presto, iniziarono
ad affluire al piccolo eremo molte persone desiderose di porsi sotto la
sua guida spirituale e di condividere lo stesso austero genere di vita.
Poi, il 31 agosto 1452, il nuovo arcivescovo di Cosenza, sotto la cui
autorità ricadeva la città di Paola, monsignor Pirro Caracciolo,
concesse il beneplacito al suo sempre più folto gruppo di eremiti, che
poterono così dotarsi di un oratorio. Col tempo, i crescenti flussi di
pellegrini che si portavano all’eremo di Paola attirarono l’attenzione
del pontefice Paolo II (dal 1464 al 1471), che, agli inizi del 1467,
inviò nella cittadina calabrese il suo visitatore apostolico monsignor
Baldassarre De Gutrossis, per indagare sulla vita di Francesco. L’alto
prelato, terminati i suoi accertamenti, rimase affascinato dalla figura
di Francesco e, al rientro nella Curia romana, non solo rassicurò il
papa sulla fedeltà dell’eremita alla religione cattolica e alla Sede
Apostolica, parlandone in termini molto lusinghieri e addirittura
entusiastici. Tuttavia, il visitatore fece di più e, visto che l’eremita
aveva avviato la costruzione d’una chiesa, il 7 luglio 1467 gli fece
ottenere una lettera firmata da ben quattro cardinali, con la quale si
concedeva l’indulgenza, alle consuete condizioni, a chi avesse
contribuito alle spese per l’erigendo tempio. In questo modo arrivarono
parecchie donazioni e l’edificio sacro poté essere completato. Agli
inizi del 1470, grazie all’intervento dello stesso monsignor De
Gutrossis, iniziò l’iter giuridico che in seguito portò al
riconoscimento ufficiale del “movimento eremitico” fondato da Francesco,
iniziando dal nulla-osta rilasciato dall’arcivescovo di Cosenza il 30
novembre 1470. Infine il 17 maggio 1474, grazie al fattivo
interessamento del medesimo metropolita e all’opera diplomatica dell’ex
visitatore apostolico, il movimento ottenne l’approvazione pontificia,
assumendo il nome di “Congregazione Eremitica Paolana di San Francesco
d’Assisi”. Grazie all’accettazione ufficiale da parte della Chiesa, al
romitorio di Paola seguirono quelli di Paterno Calabro nel 1472,
Spezzano della Sila nel 1474 e Corigliano Calabro nel 1476, tutti nella
provincia di Cosenza e Milazzo nel 1480, in Sicilia. La vita degli
eremiti era regolata da ordinamenti e statuti che, in parte, confluirono
nelle successive stesure della Regola. Francesco divenne per Paola un
punto di riferimento religioso e sociale, entrando nel cuore della gente
che si recava da lui per sottoporgli problemi di diversa natura.
L’eremita era visto come l’unico baluardo in grado di opporsi ai soprusi
della Corte Aragonese (alla quale apparteneva il Regno di Napoli), come
la persona capace di mettersi dalla parte della gente povera e semplice
e di assumere la difesa di chi non aveva voce. Francesco era, per il
suo genere di vita, un contestatore che richiamava le grandi figure
dell’anacoretismo. Lo avvicinavano potenti e semplici ed egli non faceva
distinzione di ceto. Seppe creare attorno a sé un ambiente di profonda
religiosità e fede con l’invito costante alla preghiera e all’osservanza
della volontà di Dio. Frequenti prodigi ed eventi miracolosi
accompagnarono tutta la sua vita. Il suo fu un potere taumaturgico a
favore di tutti, ma in particolare dei poveri e degli oppressi dalle
diffuse malversazioni dei potenti, contro le quali Francesco non si
stancò di levare la voce. Molti dei suoi prodigi impressionarono
grandemente letterati e artisti dell’epoca, che li immortalarono nelle
loro opere, come avvenne per il noto episodio dell’attraversamento dello
Stretto di Messina da lui compiuto sul proprio mantello steso sulle
onde del mare. Questo sebbene egli sempre spiegasse che era la fede e
quindi Dio a fare i miracoli, non certo lui. Portata oltralpe da
mercanti napoletani, la sua fama giunse nel Regno di Francia alla corte
del sovrano Luigi XI (1423-1483), allora infermo, il quale chiese a papa
Sisto IV (dal 1471 al 1484) di farlo arrivare al suo capezzale,
confidando nella sua intercessione per guarire. Furono però necessari
molti mesi per convincere Francesco, il quale accettò di partire solo
quando il papa in persona glielo impose. Fu per lui un’obbedienza
difficile perché aveva ormai sessantasette anni, la sua Congregazione
richiedeva cure continue e, soprattutto, aveva forte ritrosia ad andare a
vivere nello sfarzo di una reggia, dopo aver vissuto per più di
trent’anni nell’evangelica semplicità di un umile romitorio. Comunque,
lasciato per obbedienza l’eremo il 2 febbraio 1483, Francesco intraprese
il suo lungo viaggio verso la Francia. Nel tragitto, fu accolto
trionfalmente a Napoli, la capitale del Regno, sia dal popolo sia dalla
Corte. Anche a Roma, papa Sisto IV lo ricevette più volte cordialmente.
Giunto in Francia, al suo arrivo al castello di Montils-les-Tours (oggi
Plessis-lez-Tours, nella Loira), il re Luigi XI s’inginocchiò di fronte a
lui, chiedendogli la benedizione. Nel Regno d’oltralpe, Francesco fu
subito benvoluto a Corte e dal popolo, tanto che - nonostante non
conoscesse la lingua - fu subito avvicinato dai semplici popolani, come
dai dottori della famosa università della Sorbona. Francesco visse in
Francia circa venticinque anni, creandosi un suo mondo in qualche modo
eremitico lavorando con le sue mani un piccolo appezzamento di terra e
comportandosi piamente quale riformatore della vita religiosa, penitente
ed eremita. Il sovrano non ottenne la sperata guarigione, ma il
comportamento di Francesco a Corte portò comunque a un lungo periodo di
buoni rapporti tra il papato e la monarchia francese. Per questo suo
austero stile, che riportava la vita religiosa comunitaria alla purezza
delle origini, operò diverse conquiste spirituali tra frati di altri
ordini. Il suo carisma fu scelto, infatti, da alcuni frati benedettini,
da altri francescani e da diversi eremiti, che lasciarono le rispettive
famiglie religiose per aggregarsi alla sua. Il loro apporto, oltre a
internazionalizzare la congregazione calabrese, determinò un profondo
cambiamento al suo interno, poiché fu abbandonato l’eremitaggio e fu
introdotta la vita cenobitica. Tale svolta porterà alla nascita
dell'Ordine dei Frati Minimi, seguita dalla fondazione prima del
Terz’Ordine secolare e poi delle Monache. Le rispettive Regole furono
definitivamente approvate il 28 luglio 1506, dal papa e futuro santo
Giulio II (dal 1503 al 1513). Francesco si spense a Tours (Valle della
Loira, Francia) il 2 aprile 1507. Venne sepolto nella chiesa dei frati
Minimi di Plessis-lez-Tours (oggi La Riche, Francia). Tuttavia, il 13
aprile 1562, alcuni “Ugonotti” (protestanti francesi di confessione
calvinista presenti in Francia tra il XVI e il XVII secolo) profanarono
la sua tomba, trovarono il corpo incorrotto e gli diedero fuoco. A causa
dell'incendio sono rimaste poche reliquie, oggi conservate in massima
parte nel convento di Paola (Cosenza). La sua fama, attraverso i tre
rami della famiglia Minima (frati, monache e terziari), si diffuse in
Europa intera, favorendo la sua beatificazione il 7 luglio 1513 e la sua
canonizzazione il 1° maggio 1519, avvenuta a soli dodici anni dalla
morte. Il Servo di Dio papa Pio XII (dal 1939 al 1958) lo dichiarò
patrono della “gente di mare” italiana il 27 marzo 1943 e, il pontefice
San Giovanni XXIII (dal 1958 al 1963), lo proclamò patrono della
Calabria nel 1963.
Roberto Moggi
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