Sante Perpetua e Felicita

Oggi - 7 marzo 2024 - mercoledì della III settimana del tempo di Quaresima, la Chiesa consente la commemorazione delle Sante Perpetua e Felicita, martiri. Di Perpetua e Felicitas (Perpetua e Felicita), questi i loro nomi in latino, si conosce poco, per lo più attraverso gli “Acta Perpetuae et Felicitas” (Atti di Perpetua e Felicita), resoconto del loro martirio redatto nel 203 circa, sulla scorta dei racconti di testimoni oculari, dallo scrittore cristiano Tertulliano (155-220), con alcuni capitoli formati dal diario autografo della medesima Perpetua. Le due donne nacquero orientativamente negli ultimi decenni del II secolo, nella Provincia Romana dell’Africa Proconsolare, probabilmente a Thuburbo Minus, a una cinquantina di chilometri da Cartagine (oggi Tebourba, presso Tunisi, nel settentrione della Tunisia), piccolo centro con una comunità cristiana assai fiorente. Entrambe molto giovani e da poco convertite, frequentavano assiduamente la Chiesa locale. Durante le persecuzioni anticristiane che infuriarono nel Proconsolato d’Africa, soprattutto su iniziativa dei locali funzionari imperiali, regnando Settimio Severo (imperatore dal 193 al 211), nella loro cittadina furono arrestati molti fratelli di fede e, probabilmente nel 202 o 203, anche Perpetua e Felicita, come narrato in atti ritenuti attendibili. Tutti furono condotti a Cartagine sede del governatore di Roma. Vibia Perpetua, detta semplicemente Perpetua, poco più che ventenne, era di buona famiglia e notevole cultura, sposata e madre di un bambino che ancora allattava. Felicita, all’incirca della stessa età, probabilmente sua schiava, era presumibilmente sposa di tale Revocato e incinta di otto mesi. Nel gruppo dei seguaci di Cristo imprigionati, erano presenti anche i catecumeni Saturnino, Revocato (forse il marito di Felicita), Secondulo e il catechista Saturo, che vollero tutti ricevere il battesimo in carcere prima della quasi certa condanna a morte che li aspettava. Le due ragazze, che furono senza dubbio le figure di spicco di questo gruppo eroico, al momento opportuno rifiutarono di sacrificare agli dei pagani per salvarsi la vita. La loro testimonianza di fede fu talmente grande da fare enorme impressione nella società locale e oltre, giungendo fino a Roma, tanto che la figura di queste due eroine del Vangelo si ritrova in scritti di grandi autori, in iscrizioni e in rappresentazioni artistiche antichissime. Il loro agiografo Tertulliano, apologeta cristiano fra i più celebri del suo tempo, ne fece inserire i nomi nel Canone della Messa (o Preghiera eucaristica), mentre il grande Sant'Agostino d’Ippona (354-430) dedicò loro ben tre sermoni. Sono figure di grande rilievo spirituale, umanissime nel tormento dalla loro ferma scelta di non abiurare la fede cristiana e non rinnegare Gesù, pur se già mamma una e prossima al parto l’altra. Questo fu tanto vero al punto che la gestante Felicita, per ricevere il martirio contemporaneamente a Perpetua e agli altri compagni (giacché la legge romana non consentiva l'esecuzione capitale delle donne incinte), pregò il Signore che le fosse anticipato il parto, che, infatti, portò a termine in carcere, proprio quando cadeva la data dell’esecuzione capitale. Mentre soffriva per i dolori del parto, un soldato le disse crudelmente che quelle sofferenze erano niente rispetto a quelle che avrebbe patito nell’essere sbranata viva, ricevendone la pronta risposta che, se ora pativa lei, al momento del martirio sarebbe stato Gesù stesso a soffrire con lei. Mise al mondo una bambina, che fu subito affidata a sua sorella carnale. Perpetua, invece, tormentata dal pensiero del proprio amato figlioletto che avrebbe dovuto abbandonare, ottenne dai carcerieri che le fosse consentito di tenerlo con sé in carcere per continuare ad allattarlo. Era stata in precedenza minacciata e maltrattata dal padre pagano, affinché abiurasse la fede cristiana, salvandosi la vita ed evitando a lui e alla famiglia il disonore della condanna. Era arrivato perfino a mostrarle il neonato durante il processo, per convincerla, ma ottenendo solo di aumentare lo strazio della sua coraggiosa e irrevocabile decisione. E’ narrato, direttamente dalla stessa Perpetua nel suo diario, l'ultimo frugale rancio da lei consumato in carcere con Felicita e gli altri, dopo che Secondulo era morto di stenti. Il suo testo ci riferisce pure di una consuetudine dei martiri, quella di scambiarsi, prima della morte nell’arena, il casto cosiddetto “bacio di pace”. Il 7 marzo degli stessi anni 202 o 203, Perpetua, Felicita e gli altri loro compagni cristiani, furono introdotti nell'anfiteatro cartaginese in occasione del grande spettacolo destinato a celebrare in tutto l’Impero il giorno natalizio di Cesare Geta, figlio dell’imperatore Settimio Severo. Una volta nell'arena, circondati da una moltitudine di popolo, le due giovani e gli altri ammonirono apertamente, a gran voce, il locale governatore romano presente in tribuna, ricordandogli che, se pure loro erano stati giudicati da lui, lui sarebbe stato un giorno giudicato da Dio. Saturnino e Revocato furono sbranati da un orso e Saturo fu dilaniato da un leopardo. Lo spettacolo della morte delle due giovani mamme fu terribile, uno strazio assurdo di persone inermi, un’uccisione da mattatoio che suscita i peggiori istinti umani. Le due rifiutarono di vestirsi da sacerdotesse di Cerere, per cui, spogliate, furono avvolte in reti e introdotte nell'arena. Il popolo allora insorse vedendo quei corpi fragili e inermi e le condannate furono frettolosamente rivestite di grandi tuniche e lasciate in balia di un enorme toro infuriato, che le assalì e le straziò senza però ucciderle. Pertanto, furono finite in mezzo all'arena dalla spada di un gladiatore, il quale, emozionato, stentò a trovare il punto vitale in cui colpire. Fu la stessa Perpetua che rivolse alla sua gola l'arma, ricevendone lì il colpo mortale ed entrando nel Regno di Dio con l'amica Felicita, finita subito dopo. I loro corpi furono sepolti a Cartagine, unitamente a quelli degli altri cristiano morti con loro per il Signore. Sul luogo della sepoltura fu eretta una grande basilica, detta “Basilica Maior” (Basilica maggiore). Nel 439, all'approssimarsi dell'invasione dei Vandali, si ritrovarono le reliquie della sola Perpetua, che furono trasferite a Roma per salvaguardarle. Poi, nel 1807, dopo alcuni altri spostamenti, vennero trasferite nella chiesa di Notre Dame di Vierzon (dipartimento del Cher, regione Centro-Valle della Loira, nel centro-nord della Francia), dove sono conservate tuttora.  Roberto Moggi
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