Oggi
- 5 marzo 2024 - martedì della III settimana del tempo di Quaresima, la
Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, Sant'Adriano “di Cesarea”,
martire. Di Adrianos o Hadrianus - questo il suo nome rispettivamente in
greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e in latino - si hanno
pochissime notizie, per lo più provenienti dagli scritti del vescovo
ellenista Eusebio “di Cesarea” (263-339), nativo appunto di Cesarea
Marittima, centro portuale multiculturale a predominante cultura
greca, sulla costa mediterranea del Regno di Giuda, a sua volta
vassallo della Palestina Romana (oggi in Israele), venerato come santo
dalle Chiese ortodosse copta, siriaca ed etiope. Molti storici ritengono
che Adriano sia nato negli ultimi decenni del 200 nella stessa città,
da una famiglia di cultura ellenica, ove si prodigò - in ausilio al suo
predetto vescovo - nel servizio reso ai più poveri e bisognosi, oltre
che alla comunità cristiana. Tuttavia, altri agiografi propendono per
una sua nascita in Italia, nella città di Adria, dalla quale sarebbe
derivato il suo nome, quale indicazione di provenienza (oggi in
provincia di Rovigo, regione Veneto), dove fin da giovane s’impegnò
nell’evangelizzazione. Siffatta attività pastorale, lo porterà poi a
Cesarea Marittima in Palestina, a sostenere le popolazioni cristiane
locali stremate da carestie e persecuzioni. In entrambi i casi, a
prescindere dal suo luogo di nascita, a Cesarea fu molto attivo nella
comunità cittadina dei credenti in Cristo, tanto che, nei primissimi
anni del 300, fu una delle vittime della feroce persecuzione
anticristiana scatenata dall’imperatore Diocleziano (regnante dal 284 al
305). Infatti, mentre si trovava nella sua città, intento ad aiutare
con ogni mezzo la moltitudine dei cristiani perseguitati, fu arrestato
unitamente al proprio amico e fratello di fede Eubulo (o Eubolo).
Entrambi, dopo aver dichiarato apertamente la loro fede in Gesù,
rifiutarono decisamente di sacrificare agli dei pagani e abiurare il
proprio credo. Così, per ordine del locale governatore romano
Firmiliano, nel giorno della festa pagana della dea Fortuna, furono
condannati all’atroce supplizio detto “Damnatio ad bestias” ("Condanna
alle bestie"), un orribile tipo di condanna a morte solitamente inflitta
ai cristiani, i quali erano appunto condannati a essere divorati vivi
dalle belve feroci e affamate all’interno delle arene. Il 5 o il 7 marzo
309, “sesto anno della persecuzione” secondo la testimonianza di
Eusebio, con Eubulo e altri innocenti seguaci del Signore, fu condotto
nell’anfiteatro cittadino e lasciato in balia delle feroci bestie
fameliche colà liberate, venendo sbranato con i suoi compagni. Tuttavia,
benché gravemente ferito da un leone, non morì subito e fu finito con
la spada, suggellando con il martirio una vita di fedeltà a Gesù.
Roberto Moggi
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