Oggi
- 10 marzo 2024 - IV domenica del tempo di Quaresima, chiamata
“Laetare” dalla prima parola dell’introito, ovvero l’antifona d’ingresso
intonata all’inizio della Messa, è la domenica “della gioia”, “della
letizia”. Laetare, infatti, è l'imperativo presente passivo del verbo
latino laetere, che significa appunto “rallegrarsi”. L’odierna liturgia,
con il segno dei paramenti di colore rosaceo e con le antifone della
Messa, invita appunto a “rallegrarsi”
perché “la redenzione è ormai vicina”, giacché ci avviciniamo alla fine
dell’impegnativo cammino quaresimale e quindi alla Pasqua. In questo
giorno la Chiesa sospende l’austerità della Quaresima: i canti della
Messa non parlano che di gioia e di consolazione e si fa risentire
l’organo, rimasto muto nelle tre domeniche precedenti. Sono gli stessi
riti che abbiamo visto praticare durante l’Avvento, nella terza domenica
chiamata “Gaudete”, che ha lo stesso significato. In questa domenica,
la Chiesa ricorda comunque, tra i vari santi e beati, San Macario,
conosciuto con la specificazione “di Gerusalemme”, vescovo. Di Makarios o
Macarius, questo il suo nome rispettivamente in greco (nella sua
traslitterazione nel nostro alfabeto) e in latino, si hanno poche
notizie, provenienti per lo più dallo storico cristiano Sozomeno
(400-450) e dal vescovo e dottore della Chiesa Sant’Atanasio detto “di
Alessandria” (295-373). Macario era probabilmente un ebreo ellenizzato
nato dopo il 250 circa, nel territorio della Palestina romana. S’ignora
se la sua famiglia d’origine fosse già cristiana o se egli si sia
convertito in seguito, in ogni caso era molto attivo nella comunità dei
credenti di Gerusalemme, tanto da essere poi consacrato vescovo della
stessa città, rimanendone il Pastore dal 312 al 335 circa.
Sant’Atanasio, in una delle sue orazioni contro l'eresia ariana, si
riferisce a Macario come “esempio di stile semplice e onesto degli
uomini apostolici” e, nella sua lettera enciclica ai vescovi d’Egitto e
Libia, ne pone il nome tra quelli dei vescovi famosi ed encomiabili per
la loro ortodossia. Macario, in effetti, fu strenuo oppositore
dell’arianesimo, con forza dimostrata dal modo in cui lo stesso Ario
(256-336) parla di lui, quale valente avversario, nella sua lettera al
vescovo ariano Eusebio “di Nicomedia” (morto nel 341). Macario prese
parte al primo Concilio di Nicea del 325, nel corso del quale, insieme
al vescovo Sant’Eustazio “di Antiochia” (morto nel 337), pare avere
avuto molto a che fare con l’elaborazione e la stesura della preghiera
cosiddetta del “Credo Niceno”. Nella “Storia del Concilio di Nicea”,
attribuita al vescovo Gelasio “di Cizico” (morto dopo il 395), sono
riportate una serie di dispute tra i Padri del Concilio e alcuni
filosofi al soldo di Ario, in una delle quali Macario è portavoce per i
vescovi che difendono la discesa all'inferno delle anime dannate.
Secondo Teofane (758-817), aristocratico e storico bizantino divenuto
asceta e monaco, che lo riporta nella sua “Cronografia”, l’imperatore
romano Costantino I (dal 306 al 337), alla fine del Concilio di Nicea,
chiese a Macario di trovare i siti ove avevano avuto luogo la Passione e
la Resurrezione di Gesù, oltre a quanto potesse restare della Santa
Croce. In effetti, sappiamo che, verso il 325, egli accompagnò nel suo
viaggio a Gerusalemme l’imperatrice Sant’Elena (250-328), madre dello
stesso Costantino, durante la sua fortunata ricerca della vera Croce.
L'enorme quantità di pietre del distrutto tempio romano dedicato alla
dea Venere, che all’epoca dell’imperatore Adriano si erano accumulate
sopra il Santo Sepolcro, fu spostata ed essa fu riportata alla luce.
Nell'apprendere la notizia, Costantino I scrisse a Macario una lunga
lettera per ordinare l'erezione di una sontuosa chiesa sul luogo: si
dava avvio così alla prima costruzione cristiana della Basilica del
Santo Sepolcro in Gerusalemme. In seguito, Costantino scrisse un'altra
lettera a Macario e a tutti i vescovi della Palestina per costruire una
chiesa anche in quella località di Mamre, dove pure c'era un santuario
pagano. Si presume che la sua morte sia avvenuta verso il 335, l’anno
del Concilio di Tiro, poiché non fu lui, ma il suo successore Massimo, a
parteciparvi come vescovo di Gerusalemme.
Roberto Moggi
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