Oggi
- 20 marzo 2024 - mercoledì della V settimana del tempo di Quaresima,
la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giovanni Nepomuceno,
sacerdote e martire. Jan (Giovanni), questo il suo nome nella natia
lingua boema, nacque tra il 1345 e il 1349 circa a Nepomuk, nell’allora
Regno di Boemia (oggi identificabile nella Repubblica Ceca, sita
nell’Europa centrale). E’ Comunemente detto “Nepomucky” (“Nepomuceno”),
proprio perché originario della città
anzidetta. Venne al mondo in una famiglia cattolica praticante, in seno
alla quale maturò presto la vocazione sacerdotale, che lo portò a
entrare in seminario. Studiò poi teologia e giurisprudenza
all’università di Praga, capitale del regno, ricevendo l'ordinazione
presbiteriale nel 1373. Da quel momento, cominciò a ricoprire, con
grande umiltà e altrettanta buona lena, diversi uffici ecclesiastici,
inizialmente modesti e poi sempre più importanti, fino a essere nominato
notaio pubblico nella cancelleria episcopale e, nel 1374, segretario
dell'arcivescovo Jan z Jenštejna (Giovanni di Jenštejn). In seguito si
spostò in Italia, dove proseguì la sua formazione nell’importante
università di Padova, all’epoca libero comune nel nord-est della
Penisola, dove si laureò in diritto canonico nel 1387. Al ritorno in
patria, fu prescelto per divenire canonico della famosa cattedrale di
Vyšehrad (San Vito) a Praga, vicario generale di quella stessa
arcidiocesi e, nel 1389, parroco della chiesa di Sv. Havla (San Gallo).
Nel 1390 rinunciò a quest’ultimo incarico, per divenire arcidiacono
della non lontana città di Žatec, rimanendo allo stesso tempo canonico
della cattedrale praghese, rinunciando però a tutti i benefici
ecclesiastici che gli competevano. Per le sue brillanti catechesi, era
divenuto altresì predicatore alla corte di Re Venceslao IV di Boemia e
Germania, oltre che confessore e direttore spirituale della consorte, la
Regina Giovanna di Baviera. Anche in queste mansioni di prestigio restò
sempre fermamente fedele al Signore e non si piegò mai a compiere anche
un solo gesto che fosse minimamente contrario ai dettami del Vangelo.
Anzi, la sua vita era una costante manifestazione di totale fedeltà al
Signore, per il quale era pronto a donare la vita se necessario. Fu
proprio a Praga che questo momento venne ed egli dovette testimoniare la
sua fede fino alle estreme conseguenze, non esitando a opporsi
energicamente al sovrano, quando questi tentò di minare la libertà della
Chiesa. Nel 1393, infatti, alla morte dell’abate titolare Racek, re
Venceslao aveva ordinato che l’antica abbazia benedettina della città di
Kladruby fosse chiusa e trasformata in sede vescovile, allo scopo di
insediarvi un vescovo “raccomandato” di suo gradimento. Giovanni, però,
consapevole del grave pregiudizio per il diritto della Chiesa,
resistette coraggiosamente al tentativo del monarca e approvò la
regolare elezione del nuovo abate da parte dei monaci. Il fatto mandò su
tutte le furie il monarca, che lo fece imprigionare unitamente ad altri
tre ecclesiastici che lo avevano appoggiato. I quattro furono
minacciati e torturati affinché acconsentissero alle richieste del
sovrano. Alla fine, ridotti allo stremo, tutti cedettero, eccetto
Giovanni. Alcune fonti, sostengono anche che il corrotto e paranòico
sovrano, dedito all’alcol e che diffidava di tutti, sospettando pure
della piissima consorte Giovanna di Baviera, fece di tutto per
costringerlo a svelargli i segreti della confessione della moglie.
Tuttavia, lui si oppose strenuamente al sacrilegio e non violò il
segreto, respingendo le minacce e resistendo alle torture. I persecutori
continuarono a tormentarlo con ogni sorta di supplizio, arrivando a
bruciargli i fianchi con delle torce, ma lui non cedette. Infine, la
notte del 20 marzo 1393, quand’era ormai in agonia, il re lo fece
incatenare e gettare nella Moldava (il fiume che attraversa Praga) dal
ponte Karlův (Carlo). Fu così che Giovanni rese l’anima a Dio nella
gloria del martirio. Tutta la città seppe del delitto perché, il
mattino, il suo corpo fu rinvenuto lungo una sponda del fiume,
circondato da un alone di luce straordinaria e indescrivibile. Ben
quattro distinti documenti dell’epoca attestano questo fatto prodigioso,
il primo e più importante dei quali consiste in un documento d’accusa
contro il re, presentato al pontefice Bonifacio IX il 23 aprile 1393
dall’arcivescovo Giovanni di Jenštejn, che si recò personalmente a Roma
con il nuovo abate di Kladruby. A Praga, il ponte Carlo divenne presto
luogo di venerazione e ancora oggi si può osservare la lapide che
ricorda il punto esatto da cui Giovanni fu gettato nel fiume, martire
per la libertà della Chiesa. I suoi resti furono poi inumati all’interno
della cattedrale di San Vito, nella stessa città di Praga, ove ancora
riposano in un prezioso reliquiario. Fu canonizzato nel 1729 dal papa
Benedetto XIII.
Roberto Moggi
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