San Giovanni di Dio

Oggi - 8 marzo 2024 - venerdì della III settimana del tempo di Quaresima, la Chiesa consente la commemorazione di San Giovanni di Dio, religioso. João (Giovanni), questo il suo nome nella materna lingua portoghese, nacque l’8 marzo 1495, probabilmente a Montemor-o-Novo, nel centro-sud del Regno del Portogallo, dalla famiglia Ciudad o Ciudade, della quale non si conosce nulla. Prima dei dodici anni si spostò a Torralba de Oropesa presso Toledo, nel centro del vicino Regno di Spagna, dove trovò impiego come servo pastore presso il conte Oropesa, locale feudatario. Giovanni, che era un ragazzo buono, educato, rispettoso e affidabile, si guadagnò ben presto l’affetto e la stima del nobile, che giunse ad adottarlo e ad affidargli la gestione di tutte le sue proprietà, prospettandogli il matrimonio con la propria figlia. Tuttavia, verso il 1517, quando Giovanni aveva circa ventidue anni, il suo forte spirito di libertà e la ricerca d’avventura presero il sopravvento e lo spinsero ad abbandonare quella vita agiata e sicura per arruolarsi nell’esercito spagnolo. Da militare fu inviato nel nord del Paese a combattere i francesi, contro i quali era impegnata l’armata del regnante sovrano Carlo V (1500-1558). Durante l’esperienza bellica ebbe una brutta disavventura. Un giorno, infatti, mentre era distratto, gli fu rubato il bottino conquistato in battaglia dal suo reggimento, che aveva l’incarico di custodire. Si trattava di un fatto gravissimo, che comportava l’impiccagione. Tuttavia, inaspettatamente, mentre era già pronta la forca, un ufficiale che lo teneva in grande considerazione giurò sulla sua innocenza e gli salvò la vita, pagando la sua grave disattenzione con la sola radiazione dall’esercito. Per qualche tempo tornò a occuparsi della tenuta agricola che aveva lasciato, salvo poi arruolarsi di nuovo nell’esercito spagnolo, nel 1532. Questa volta fu inviato a combattere i musulmani turchi che, nel loro primo tentativo di conquistare l’Europa, assediavano la città di Vienna, capoluogo dell’Austria appartenente al Scaro Romano Impero. Nonostante tutto, a causa del suo animo errabondo e tormentato, in seguito lasciò ancora l’armata reale e tornò in Spagna, dove, negli anni successivi si spostò in svariate località senza trovare pace. Prima andò in Andalusia (nell’estremo sud della Penisola Iberica), poi a Gibilterra (all’epoca ancora spagnola), da qui, con una famiglia portoghese, a Ceuta, territorio lusitano nel nord dell’Africa (oggi enclave spagnola sulla costa mediterranea del Marocco) e poi di nuovo in Spagna, adattandosi alle circostanze e facendo di conseguenza numerosi mestieri per il proprio sostentamento. In questo periodo, per tirare avanti, Giovanni si accomodò a innumerevoli attività: pastore, bracciante, muratore, soldato, venditore ambulante, libraio, infermiere, impresario nella gestione di ospedali e questuante per pagare i debiti accumulati. La vera svolta, però, con la radicale conversione, arrivò nel 1538 a Granada (Spagna), grazie alle prediche infervorate del sacerdote e futuro santo Giovanni d’Avila (1499-1569). Egli ne ascoltava volentieri i sermoni, appassionandosi sempre più alla fede e finendo per essere conquistato dall’idea del soffrire per amore di Gesù Cristo. Folgorato da questa intuizione, cominciò ad assumere comportamenti ricorrenti che ad alcuni, non toccati dalla Grazia, potevano apparire quantomeno “strani”, come battersi frequentemente il petto, gridare di dolore spirituale, strapparsi i cappelli, tanto che sembrava fosse uscito di senno. Dopo un po’, alcuni pii cristiani impietositi dalle sue sofferenze lo condussero proprio da Giovanni d’Avila, affinché lo aiutasse a trovare la pace interiore. Questi lo accolse e ne assunse la guida spirituale, in modo talmente consono che per un po’ cessarono le sue “stranezze”. Per divina disposizione, però, questo stato di calma apparente non durò per molto e questa volta, ricomparse le “stramberie”, fu portato in manicomio, dove subì umiliazioni, maltrattamenti, flagellazioni e celle d’isolamento. Il suo dolore durò finché Giovanni d’Avila non gli spiegò che quelle sofferenze, vissute senza essere “offerte” a Dio, non servivano a niente. Giovanni per grazia di Dio capì e immediatamente uscì da quello stato di apparente demenza, giungendo, dopo avere ben maturato la conversione, a servire quelli che fino a poche prima erano i suoi compagni di sventura nel manicomio. Aveva imparato quello che soffrivano i pazzi veri e all’improvviso aveva capito come bisognava trattarli, curandoli con amore. Da allora si prodigò per quei suoi compagni malati e per gli altri presenti in altri ospedali di Granada. Andò poi pellegrino al famoso santuario della Madonna di Guadalupe in Estremadura (Spagna), per chiedere consiglio alla Santa Vergine. Questo puntualmente arrivò, direttamente dalla Madonna, che gli apparve offrendogli delle vesti con le quali avrebbe dovuto vestire il bambino Gesù. Giovanni capì chiaramente che la sua missione sarebbe stata quella di vestire e curare i malati e i poveri, quei “piccoli” nei quali era presente Cristo stesso. In una seconda apparizione, la Santa Vergine, tenendo in mano una corona di spine, gli fece capire che era proprio “con le spine”, cioè con il duro lavoro, il dono totale di sé e la sofferenza, che avrebbe dovuto conquistare la corona che Suo Figlio gli aveva preparato. Di spine, infatti, Giovanni ne ebbe tante negli ospedali presso i quali assistette i malati e in quelli che fondò lui stesso. Nel primo ospedale da lui fondato nel 1539 a Granada, organizzò tutto con criteri e metodologie sorprendentemente moderne. Il suo nosocomio era diviso in reparti secondo le diverse malattie e a ogni malato era dato un letto pulito e ordinato. La pulizia era perfetta, i pasti assicurati a intervalli regolari. Il malato era una persona da amare, prima di tutto, poi da curare. Con i malati di mente, poi, Giovanni fu ancora più incisivo, avendolo provato le loro sofferenze sulla propria pelle. Tolse loro quell’etichetta da indemoniati molto facile da appiccicare a quei tempi e rifiutò le precedenti metodologie coercitive, tipo l’incatenamento, la fustigazione e punizioni varie. Per lui quelli erano i malati più cari perché psichicamente fragili, indifesi, i più bisognosi di cure e di affetto umano. Quando il vescovo di Granada e altre personalità cittadine, a un certo punto, lo convocarono per avere informazioni e chiarimenti sulle sue attività e su quelle delle varie persone che, per divina ispirazione, cominciavano a seguirlo e aiutarlo nella sua opera, egli si presentò vestito dei miseri cenci sudici, strappati e maleodoranti di un mendicante, ai quali poco prima aveva dato in cambio i propri vestiti. Il vescovo rimase molto positivamente colpito dalla sua accesa spiritualità e lo incoraggiò, lo aiutò materialmente e gli suggerì anche di assumere un abito religioso che facesse da distintivo, come simbolo di vita consacrata al servizio dei fratelli più bisognosi per amore di Dio. Giovanni fece tesoro di questo prezioso consiglio, aggiungendo al proprio nome l’appellativo “di Dio”, col quale già da qualche tempo era chiamato con gratitudine dal popolo, quasi come un cognome. Creava così, quasi senza accorgersene, una benemerita “comunità di volontari” al servizio dei fratelli nel campo sanitario e ospedaliero, che, tuttavia, sino alla sua morte, fu formata da gruppi privi di una vera e propria organizzazione. Giovanni andò avanti tra mille difficoltà e mille debiti, confidando sempre nella Divina Provvidenza e per tramite di questa nei benefattori, attraverso “Cristo che provvede”, come amava dire. Dopo tredici anni di duro lavoro e penitenza giunse alla fine. Prima della morte dovette affrontare un’altra critica, piuttosto cattiva. Fu convocato dall’arcivescovo che gli riferì l’accusa che circolava nei suoi confronti: quella di ospitare nelle sue case anche donne “di malaffare”, considerate all’epoca indegne di ogni assistenza. Per tutta risposta, egli si gettò ai piedi dell’alto prelato dicendogli che il Figlio di Dio era venuto per i peccatori e che lui e i suoi collaboratori avevano il sacrosanto dovere di accogliere anche - o meglio “specialmente” - le prostitute e di lottare per la loro conversione e redenzione sociale, garantendo che nell’ospedale da lui gestito non c’era nessuna “cattiva persona” al di fuori di lui stesso, che era indegno di mangiare il pane dei poveri. Una risposta e una testimonianza da vero santo, da lasciare a bocca aperta. Tanto che le voci malevole finirono immediatamente. L’8 marzo 1550, nel proprio alloggio di Granada, dove da qualche tempo era allettato per le tante malattie, conoscendo in anticipo l’ora della propria morte, chiese di restare solo, si alzò con enorme fatica dal letto di sofferenza e s’inginocchiò davanti all’altare allestito in camera, chiudendo la sua esperienza terrena così, pregando in ginocchio fino a che la sua anima volò in Cielo. Fu sepolto nel vicino cimitero. Giovanni “di Dio” era vissuto solamente cinquantacinque anni, di cui ben quarantatré trascorsi nei tormenti interiori mentre cercava la propria vocazione e i rimanenti a costruire la propria santità fatta di amore a Dio, tradotto nel servizio e nell’assistenza ai malati e ai poveri. Solo dal 1572, i suoi gruppi di assistenza ai malati ebbero il riconoscimento ufficiale dal papa Pio V come congregazione con la regola di Sant'Agostino, i cui membri professavano i voti di povertà, castità e obbedienza, e un quarto voto di assistere gli infermi. Questa fu chiamata «Congregazione dei Fratelli di Giovanni di Dio» (e più tardi, alla sua canonizzazione: «Congregazione dei Fratelli di “San” Giovanni di Dio»), più noti come “Fatebenefratelli”, nome derivato dall’espressione che usava Giovanni quando chiedeva l’elemosina per i poveri e i malati: “Fate bene fratelli, per amore di Dio, a voi stessi”. Voleva dire ai donatori potenziali che donare ai poveri e sofferenti era donare a Cristo stesso, che certamente avrebbe compensato tutto con abbondanza. La fama di Giovanni di Dio si sparse in fretta e fu canonizzato nel 1690 da papa Alessandro VIII. Il 26 ottobre 1757, le sue spoglie furono esumate e sepolte nella nuova basilica a lui dedicata nella città di Granada, dove tuttora riposano. Il pontefice Leone XIII, nel 1886, lo dichiarò patrono degli ospedali e di quanti operano per restituire la salute agli infermi assieme a San Camillo de Lellis. Papa Pio XI, il 28 agosto 1930, lo proclamò, sempre con Camillo de Lellis, "Patrono degli infermieri".
Roberto Moggi
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