Oggi - 6 marzo 2024 - mercoledì della III settimana del tempo di Quaresima, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, la Beata Rosa da Viterbo, vergine. Rosa nacque a Viterbo, importante centro della Tuscia nel Lazio settentrionale, territorio allora appartenente allo Stato della Chiesa con la denominazione di “Provincia del patrimonio” (oggi capoluogo dell’omonima provincia della regione Lazio), probabilmente il 9 luglio 1233 - ma secondo altre fonti nel 1230 o 1234 - dai poverissimi e virtuosi genitori Giovanni e Caterina, che la educarono nell’amore e nel rispetto di Dio, seguendo gli insegnamenti di San Francesco d’Assisi. Rosa venne al mondo con una rarissima e grave malformazione fisica, caratterizzata dalla mancanza dello sterno (osso collegato alle coste che forma con esse la gabbia toracica), imperfezione oggi scientificamente denominata “Agenesia totale dello sterno”, che di solito porta il soggetto colpito a una morte precoce entro i primi tre anni di vita, poiché lo scheletro non riesce a sostenere il corpo. Invece, temprata dalla sofferenza, Rosa rimase inaspettatamente in vita e crebbe nella virtù. Fin dagli anni più teneri i suoi genitori si accorsero che quella non era una ragazza “comune”, costatando come la Grazia lavorasse in lei in modo veramente straordinario. Prova ne era il suo aborrire ogni specie di vanità nell'abbigliamento e il fuggire le compagnie frivole, mentre trasparivano sempre più il suo amore per Dio e la Santissima Vergine. Crebbe in un ambiente storico molto travagliato, che vedeva l’imperatore del Sacro Romano Impero, Federico II di Svevia (1194-1250), impegnato a ottenere il controllo di Viterbo a discapito dello Stato Pontificio, mentre regnava papa Innocenzo IV (dal 1242 al 1254). In quel periodo, le strade della città e del contado facevano da scenario a cruenti combattimenti tra le due grandi fazioni rivali, i “Ghibellini” che appoggiavano l'Impero, e i “Guelfi” che lo contrastavano sostenendo il papato, con assedi, bande armate in guerra tra loro e trattati di pace non rispettati. La situazione sociale di Viterbo era davvero in tristissime condizioni, mentre eretici e atei aumentavano continuamente di numero e i cristiani si erano talmente intiepiditi che la loro vita poco si distingueva da quella degli altri. La casa dove Rosa viveva con i propri genitori, nel centro cittadino, era vicina al monastero delle Clarisse, dove lei cercò di entrare giovanissima seguendo la propria vocazione. Purtroppo, però, provenendo da una famiglia molto povera, l’ingresso le fu negato. In seguito cadde gravemente malata e già si disperava per la sua vita, quando fu visitata dalla Madonna che, guaritala, la invitò a vestire l’abito del Terz'ordine di San Francesco e a percorrere le strade della città incitando a penitenza. Rosa acconsentì e da allora si mise a operare il bene tra le vie cittadine come Terziaria francescana, conducendo una vita di contrizione ed esercitando la carità verso i poveri e gli ammalati. Rosa professava apertamente la pace con tutte le fazioni ed eseguiva opere di carità verso chiunque ne avesse bisogno, senza distinzioni di sorta, girando per le strade con un Crocefisso in mano. Questo suo modo di avvicinare la gente e predicare, in un tempo in cui imperversano siffatte aspre lotte fra le opposte fazioni politiche, creò gelosia e malumore tra i capi dei vari partiti, tanto che questi la denunciarono alle autorità imperiali, le quali la bandirono da Viterbo con tutta la sua famiglia. Durante l'esilio, visse prima a Soriano nel Cimino e poi a Vitorchiano, entrambi paesi della Tuscia (oggi ambedue nella provincia di Viterbo), rientrando in città solo nel 1250, alla morte dell’imperatore Federico II. Intanto le sue condizioni di salute si erano aggravate e, a causa della gravissima anomalia congenita, che - come visto - normalmente avrebbe dovuto condurla alla morte entro i primissimi anni di vita, morì il 6 marzo 1251 all’età di diciotto anni. Venne sepolta nella nuda terra del cimitero della sua parrocchia Santa Maria in Poggio, detta oggi della “Crocetta”. Da quel giorno sono stati molti e continui i miracoli ottenuti dai fedeli che si sono recati sulla sua tomba per pregare, come guarigioni da cecità, da cadute e da malattie gravi. Nel 1252, a circa diciotto mesi dalla sua morte, visto il notevole afflusso di pellegrini alla sua tomba e il clamore sempre più crescente per i prodigi e i miracoli ottenuti dai fedeli, le autorità cittadine e la Chiesa locale chiesero congiuntamente a papa Innocenzo IV di promuoverne il processo di canonizzazione. Il Pontefice acconsentì e ne ordinò la riesumazione della salma disponendone la preventiva e canonica ispezione. Il corpo apparve miracolosamente incorrotto e perfino le rose con le quali la ragazza era stata inghirlandata alla sua morte, apparvero ancora fresche e profumate. Fu allora deciso di darle più onorata sepoltura all’interno della chiesa di Santa Maria in Poggio, dove rimase per sei anni. Nel 1254, papa Alessandro IV (dal 1254 al 1261), non sentendosi più sicuro a Roma, teatro di tumulti tra le varie famiglie della nobiltà in lotta per il predominio, decise di trasferire provvisoriamente la sede papale proprio a Viterbo, che da allora sarà denominata “Città dei papi”. Dal 1257, poco tempo dopo la sua venuta nel capoluogo della Tuscia, il pontefice sognò Rosa per ben tre volte. In questi sogni, la giovane gli chiese di far trasferire il proprio corpo nel vicino monastero delle Clarisse, dove in vita aveva inutilmente chiesto di entrare. Il 4 settembre del 1258, dopo la terza apparizione onirica, il papa considerò l’evento straordinario e, accompagnato dai cardinali in solenne processione, fece trasferire i resti incorrotti di Rosa nella vicina chiesa del monastero delle Clarisse, affidandone a loro la custodia e il culto. Il corpo della giovane fu chiuso in una preziosa urna dotata di un’anta apribile, in modo che i fedeli potessero baciarne la mano. Nel 1357, un secolo dopo, a causa di una candela accesa caduta, scoppiò un furioso incendio all’interno della cappella dov’era custodito il corpo. L’urna fu completamente consumata dalle fiamme, come pure le vesti di Rosa e tutti i documenti e gli ornamenti che erano lì conservati, ma il suo corpo rimane assolutamente indenne, solo un poco annerito dal fumo. Oggi, a più di settecentocinquanta anni dalla sua morte, all’interno del bellissimo santuario nel frattempo dedicatole nel centro di Viterbo, è possibile ammirarla, perché il suo corpo, custodito con amorevole cura dalle suore del monastero, è tuttora incorrotto. Sono ben conservati il cuore, gli organi interni, le masse muscolari e lo scheletro con le ossa tutte in connessione anatomica. I viterbesi, suoi devoti concittadini, onorano ogni anno, fin dal lontano 1258, la loro amata Rosa, santa patrona della città e compatrona della diocesi, con dei festeggiamenti tenuti il 4 settembre, giorno in cui ricorre l'anniversario della traslazione del suo corpo, avvenuta lo stesso anno. Fu papa
Alessandro IV in persona che guidò la traslazione del corpo dalla chiesa di Santa Maria in Poggio al Cenobio di San Damiano (oggi Monastero di Santa Rosa) delle suore Clarisse, dove ancora oggi riposa. Alla vigilia della festa, la sera del 3 settembre di ogni anno, viene trasportata in processione sulle spalle di cento robusti portatori, denominati “Facchini”, la cosiddetta “Macchina di Santa Rosa”, un sorta di campanile artistico illuminato, rinnovato ogni cinque anni, con un'altezza di ventotto metri e un peso di circa cinquanta quintali, sormontato dalla statua della santa. A oggi Rosa non è stata ancora canonizzata, benché sia comunemente denominata santa.
Roberto Moggi
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