San Girolamo Emiliani

Oggi - 8 febbraio 2024 - giovedì della V settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di San Girolamo Emiliani, religioso e fondatore. Gerolamo (Girolamo) - questa l’esatta forma del suo nome di battesimo - nacque nel 1486 a Venezia, capitale dell’omonima repubblica, quarto figlio della nobile ma decaduta famiglia Emiliani (o Miani, secondo altre fonti). Nel 1496, quando aveva circa dieci anni, fu profondamente segnato dal tragico suicidio del padre. Come la maggior parte dei giovani patrizi veneziani del suo tempo, era affascinato dalla prestigiosa e remunerativa carriera militare, tanto da arruolarsi come ufficiale, nel 1509, nel potente esercito della “Serenissima” repubblica. Intraprese il “mestiere delle armi” con successo, assumendo incarichi di responsabilità, fino a essere nominato comandante della fortezza di Castelnuovo di Quero, lungo il fiume Piave nei pressi di Belluno, nel Friuli, sul confine con i territori asburgici del Sacro Romano Impero. Il 27 agosto 1511, mentre Venezia era in guerra contro le maggiori potenze europee (alleate contro di essa nella Lega di Cambrai, formata in detta città francese il 10 dicembre 1508), la piazzaforte della quale Girolamo era a capo fu sottoposta a un potente attacco nemico e, dopo una tenace resistenza nella quale si distinse per coraggio, davanti alla schiacciante superiorità nemica dovette infine capitolare. Fatto prigioniero, fu segregato nelle prigioni sotterranee della stessa rocca con ceppi a piedi e mani, mentre al collo gli fu imposto un collare con catena fissata a una pesante palla di marmo. La triste esperienza dell’inumana detenzione, che lo marcò fortemente, ebbe se non altro il pregio di dargli il tempo per meditare sul significato della vita e dei concetti di “onore”, “forza” e "potenza", di cui conosceva solo le accezioni militari. La vita gli era stata risparmiata, forse nella speranza di un riscatto o di uno scambio di prigionieri d'alto lignaggio, tuttavia, in catene, era costretto a seguire gli spostamenti dell'esercito nemico, ma della sua liberazione nessun segno. Nei lunghi giorni passati nella solitudine della dura prigionia, si avvicinò a Dio e alla preghiera e, provato dalla fame, dal dolore e dal timore per la sua stessa vita, ritrovò la via del cuore e indirizzò le sue suppliche direttamente alla Madonna, alla quale promise di cambiare vita in cambio della libertà. Si rivolse personalmente alla “Madonna Grande” di Treviso, tanto cara ai veneziani. Così, il 27 settembre 1511, dopo una trentina di giorni di crudele carcerazione, le sue preghiere furono esaudite e - secondo la tradizione devozionale - “si trovò prodigiosamente liberato”, in modo tanto improvviso quanto inaspettato. Di questo straordinario avvenimento non s’è mai saputo nulla di preciso e l'unica cosa certa è che Girolamo attribuì sempre la sua liberazione all'intervento speciale e personale della Santissima Vergine. Una volta libero raggiunse per prima cosa Treviso, nel territorio veneto della Serenissima, dove, riconoscente per la grazia ricevuta, donò alla Madonna le catene della propria prigionia, che aveva portato con sé, deponendole quale ex voto nella locale chiesa di Santa Maria Maggiore, dove la Vergine Maria con tale titolo è venerata. Nel 1516, alla fine della guerra, riebbe il comando della fortezza di Quero, senza però mai dimenticare il voto fatto alla Vergine, tanto che, affidatosi alla guida spirituale di un sacerdote e cominciando a leggere la Bibbia, iniziò a cambiare il suo cuore e il modo di pensare. Così, nel 1526 circa, probabilmente fondò o comunque entrò a far parte di un sodalizio laicale chiamato “Compagnia dei Figli (o Fratelli) del Divino Amore”, nato anche grazie all’esempio e all’insegnamento di personaggi importanti come San Gaetano da Thiene (1480-1547), fondatore dell’Ordine dei Chierici Regolari Teatini, e del cardinale Gian Pietro Carafa (1476-1559), che diventerà poi papa Paolo IV. Attraverso tale “Compagnia” di laici, Girolamo diventò abile organizzatore delle opere di carità nella città lagunare, come l'Ospedale degli Incurabili e la Bottega degli Orfani a San Rocco. La sua fama in questo campo lo porterà anche per le città della Lombardia e del Veneto appartenenti alla Repubblica, chiamato dai vescovi ad ordinare le opere di carità delle loro diocesi. Accanto a lui si formò una grande schiera di collaboratori, di cui alcuni decisero di condividere il suo stile di vita. La prima occasione che ebbe per mettere alla prova la “nuova persona” che era diventata, fu durante l’epidemia di peste che colpì Venezia nel 1528. In questo terribile frangente, alla guida di un gruppo di volontari che lo seguivano, girava per la città portando aiuto e conforto agli ammalati, per i quali mise a disposizione tutti i suoi beni. La sua abnegazione era tale che fu infine contagiato egli stesso dal morbo, guarendone però miracolosamente. Aveva trovato la sua strada e il modo a lui più adatto per servire il Signore e i fratelli, nell’esercizio della carità sempre rivolta ai più bisognosi. Nel 1531, ulteriormente maturato nella fede, lasciò definitivamente i propri abiti patrizi e la carriera militare e, vestito di un umile saio grezzo e consunto, si dette a una vita povera e penitente pur rimanendo allo stato laicale, dichiarando a tutti che, dopo aver servito con onore e fedeltà la Repubblica di Venezia, era giunto il momento di servire allo stesso modo un bene ben maggiore, il Regno dei Cieli. Così avvenne e, da quel momento e per il resto della sua vita, si occupò non più di se stesso ma degli altri, dei bambini orfani abbandonati e dei casi più disagiati, quali ad esempio le ragazze che volevano redimersi dal meretricio. La sua esperienza spirituale coincise e maturò all'interno della “Riforma Cattolica” o “Controriforma”, movimento di rinnovamento della Chiesa iniziato ancor prima del comparire del Protestantesimo, con massima diffusione dopo il Concilio di Trento (1545-1563), finalizzato ad eliminare abusi e vizi di alcuni membri della Chiesa in nome della fedeltà ai principi evangelici. Alla luce di ciò, divenne per lui ancor più sentita la preoccupazione della "riforma personale", attraverso cui correggere nella propria persona e con il proprio impegno i mali lamentati nella Chiesa e reagire al disimpegno religioso e morale. Quando suo fratello Luca morì prematuramente, lasciando orfani i suoi tre nipoti, Girolamo se ne fece carico, avendo così la grande intuizione della propria vita: costituire un’associazione che si occupasse espressamente dei giovani rimasti senza famiglia, incaricandosi anche della loro istruzione. Consacratosi al Signore, fondò così a Bergamo, nel 1533, la “Compagnia dei Servi dei Poveri”, impegnata nella difesa degli orfani di guerra. Per loro Girolamo creò una scuola d’arti e mestieri cui affiancò l’insegnamento del catechismo, seguendo un metodo per allora innovativo, che aveva come programma fondamentale preghiera e lavoro, princìpi cardine che nobilitano l’uomo. Questa nuova “Compagnia”, nella quale confluirono anche i “Figli (o Fratelli) del Divino Amore”, diventò poi Congregazione, fino a che nel 1568 papa Pio V la elevò a Ordine col nome di “Chierici Regolari di Somasca” (nome che deriva dal villaggio di Somasca, presso Lecco in Lombardia, dov’erano alloggiati i primi confratelli di Girolamo, in un castello diroccato ricevuto in dono, che trasformò in convento). Nel carisma dei Somaschi è molto forte la devozione a Maria, venerata come “Mater Orphanorum” (Madre degli Orfani). Girolamo morì proprio a Somasca (oggi frazione del comune di Vercurago, in provincia di Lecco, regione Lombardia) all'alba dell’8 febbraio 1537, dopo aver contratto nuovamente la peste dai malati che curava durante la terribile epidemia che aveva colpito la vicina Valle di San Martino. Fu il suo estremo atto d'amore, capace di dare la vita secondo il comando di Gesù. Il suo corpo fu sepolto nella locale chiesa di San Bartolomeo (oggi basilica-santuario di San Bartolomeo e San Girolamo Emiliani), dove tuttora riposa, Canonizzato nel 1767, dal 1928 è stato dichiarato dal papa Pio XI Patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata.
Roberto Moggi
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