San Biagio

Oggi - 3 febbraio 2024 - sabato della IV settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di San Biagio, talvolta indicato anche con la specificazione “di Sebaste”, vescovo e martire. Blasius (Biagio), questo il suo nome in latino, nacque in data imprecisata del III secolo a Sebaste o Sebastea, nella provincia romana dell’Armenia, sita all’incirca nella parte centro-settentrionale della Penisola Anatolica (oggi Sivas, nella parte centrale della Turchia asiatica). Di agiata famiglia cristiana, si dedicò allo studio della medicina e divenne un valente dottore. Nell’esercizio della sua professione, fedele ai dettami di Cristo, accorreva sempre al capezzale dei sofferenti, in qualsiasi momento e senza esitare, curandoli gratuitamente e risanando, con l'esempio e la parola, pure le infermità spirituali. Conduceva vita morigerata e casta, desiderando ardentemente consacrarsi al Signore ed entrare in monastero. Dovette però rinunciare ai suoi propositi, in quanto, morto il vescovo della sua città, fu eletto, suo malgrado, a succedergli nell’episcopato, poiché stimatissimo dal popolo. Pur non sentendosene degno per modestia, assunse l’oneroso ufficio e, da quell'istante, la sua vita fu tutta spesa per il bene della Chiesa e dei suoi fedeli. Quando, dal 303 al 313 circa, infuriò in tutto l’Impero la persecuzione contro i cristiani scatenata dall’imperatore Diocleziano (regnante dal 284 al 305), i prèsidi (governatori) della provincia dell’Armenia, Lisia e Agricola, impartirono l’ordine di arrestare Biagio, amatissimo vescovo di Sebaste. Egli, tuttavia, venutolo a sapere, riuscì a nascondersi fuori città, in una caverna del vicino monte Argeo, zona impervia e isolata. Per molto tempo vi rimase nascosto in solitudine, continuando segretamente a tenere i contatti con i suoi fedeli, che gli fornivano anche lo scarso cibo. Un giorno, però, un drappello militare giunse in quella zona isolata in cerca di bestie feroci, da catturare vive per i giochi del circo. I militi trovarono la grotta, lo scoprirono e lo arrestarono. Il tragitto che percorse dal monte alla città, incatenato e scortato, per essere portato innanzi al prèside, si trasformò per lui in un vero trionfo, perché tutto il popolo cristiano, nonostante il grave pericolo che correva, accorse a salutare e ossequiare il proprio Pastore, tenuto in somma venerazione. Fra i tanti, accorse anche una povera madre disperata, con il suo unico figlio moribondo tra le braccia, giacché una spina di pesce gli si era conficcata in gola. Essa lo scongiurò con molte lacrime di chiederne a Dio la guarigione e Biagio, mosso a compassione e colpito da tanta fede, benché impossibilitato a muoversi per via delle catene che lo stringevano, sollevò gli occhi al cielo e accennò sul sofferente il segno della Croce, ottenendone l’immediata guarigione. Giunto a Sebaste, fu condotto dal prèside Agricola, che come di consuetudine cercò di convincerlo a sacrificare agli idoli pagani. Egli però, illuminato dallo Spirito Santo, con calma e senza paura alcuna rifiutò decisamente, spiegando che quello sarebbe stato un atto indegno d’ogni creatura ragionevole, poiché la ragione dice all'uomo che vi è un Dio solo, eterno e creatore d’ogni cosa, rifiutando di rinnegare la fede cristiana. Per tutta risposta, Agricola lo fece battere con verghe e poi gettare in un orrido carcere. Dopo qualche tempo di terribile sofferenza, lo fece di nuovo scortare da lui in tribunale, per interrogarlo ancora, ma trovò sempre in lui la più grande fermezza nella fede di Gesù. Gli furono allora lacerate le carni con i pettini di ferro che si usavano per cardare la lana e, più morto che vivo, fu sospeso a un tronco d'albero. Dopo che furono inutilmente sperimentati ancora contro di lui, al fine di farlo abiurare, tutti i supplizi più crudeli, fu condannato a essere annegato in un vicino lago. Condotto in barca al centro del bacino, i carnefici lo lanciarono in acqua ben legato a grossi pesi, ma, mentre essi si aspettavano di vederlo andare a fondo, egli si alzò prodigiosamente sull’acqua completamente sciolto dai legami e si mise tranquillamente a camminarci sopra, raggiungendo la riva opposta. Venne allora nuovamente condotto a Sebaste dove il giudice, fuori di sé dall’ira, ordinò di decapitarlo insieme a due innocenti ragazzi cristiani, che erano stati anch’essi capaci di non rinnegare Cristo. Così, il 3 febbraio 316, Biagio morì martire per il Signore, nella sua città, nonostante che da circa tre anni fosse stata concessa la libertà di culto in tutto l'Impero, a seguito dell’editto dell’imperatore Costantino emesso nell'anno 313. Dopo la morte, fu seppellito nella cattedrale di Sebaste, ma, nel 723, una parte dei suoi resti venne imbarcata per Roma. Durante la navigazione, però, un’improvvisa tempesta costrinse la nave ad approdare a Maratea, sulla costa tirrenica dell’attuale Basilicata (oggi in provincia di Potenza). Da allora i suoi resti sono custoditi in un’urna marmorea della cappella delle reliquie (detta “Regia Cappella”), all’interno della basilica-santuario a lui dedicata, sul monte che pure porta il suo nome nei pressi di Maratea, città di cui è santo protettore. Alcune piccole reliquie, tuttavia, sono custodite in alcuni altri centri della Penisola. Biagio, nella sua qualità di medico, è patrono degli specialisti otorinolaringoiatri ed è invocato per la guarigione dalle malattie della gola, in ricordo del risanamento miracoloso del bambino che aveva ingoiato una lisca di pesce. Per questo motivo, nel giorno della sua memoria, tradizionalmente i sacerdoti benedicono e toccano la gola dei fedeli con l'imposizione di due candele incrociate, solitamente quelle che sono state benedette il giorno precedente nel corso della festa della Presentazione di Gesù al Tempio, detta per l’appunto della “Candelora”.  Roberto Moggi
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