Beato Giovanni da Fiesole, conosciuto anche come "Beato Angelico"

Oggi - 18 febbraio 2024 - I domenica del tempo di Quaresima, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, il Beato Giovanni da Fiesole (conosciuto anche come “Beato Angelico”, “Fra Angelico” o semplicemente “Angelico”), sacerdote dell’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani). Guido, questo il suo nome di battesimo, nacque nel 1395 circa a Rupecanina, frazione di Vicchio, centro sottoposto al vicino libero comune di Firenze (oggi nell'area metropolitana della stessa città, capoluogo della regione Toscana). Della sua famiglia d’origine si sa solo che era di grande fede, che il padre si chiamava Pietro e che aveva una sorella, Francesca, e un fratello di poco più piccolo, Benedetto, che lo seguirà nella scelta di farsi frate domenicano. Fin da bambino mostrò una naturale e spiccata predisposizione per il disegno, la pittura e la miniatura, che rafforzarono nel suo animo quell’anelito al bello che, oltre a condurlo ad affinare l’innato talento artistico, negli anni si tradusse in una chiara chiamata alla vocazione religiosa. Sua convinzione era che ogni azione dovesse essere orientata a Dio, ed anche la pittura, arte in cui eccelleva, fu da lui intesa come espressione dell’esperienza contemplativa, strumento di lode e di elevazione delle menti alle realtà celesti. La sua educazione artistica si svolse nella Firenze degli insigni pittori Lorenzo Monaco (1370-1425) e Gherardo Starnina (1354-1413), con i quali venne a contatto. Dal primo, in particolare, riprese sia l’uso di colori accesi e innaturali, sia l’uso di una luce fortissima che annulla le ombre e partecipa al misticismo della scena sacra rappresentata nel quadro, tutti temi che ritroviamo nelle sue prime tavole e nella sua produzione miniaturistica nei manoscritti e nei libri all’epoca pure scritti a mano. Quest’ultima era una disciplina rigorosa, che lo formò e gli servì molto nelle sue opere più tarde. Egli riprodusse su scala minuscole e perfette figure, colorate e arricchite spesso con costosi pigmenti e applicazioni, come il blu di lapislazzuli e l’oro in foglia, dosati con estrema cura, poiché ogni contratto di esecuzione specificava la quantità precisa da utilizzare. Divenne presto famoso sia tra il volgo che tra le classi nobili e borghesi, venendo indicato in vari documenti, tra il gennaio e il febbraio 1418, come “Guido di Pietro, dipintore”. In quel momento, dunque, era certamente ancora laico, ma ben presto, insieme al fratello, entrò nel convento dei Frati Predicatori di Fiesole, sulle colline a ridosso di Firenze, assumendo il nome religioso di Fra Giovanni. Entrò successivamente a far parte del ramo cosiddetto “Osservante”, una corrente minoritaria formatasi all'interno dell'Ordine, nella quale si osservava la Regola originale del fondatore San Domenico di Guzmán (1170-1221), che richiedeva assoluta povertà e ascetismo. Non si conosce la data esatta in cui prese i voti, ma la si può collocare tra il 1418 e il 1421, mentre l'ordinazione sacerdotale risale probabilmente al periodo compreso tra il 1427 ed il 1429 circa. Anche da frate e poi sacerdote domenicano, benché sì distinguesse per fede e obbedienza, non abbandonò mai la pittura, ponendola al servizio di Dio. Preghiera, studio e austerità ne affinarono lo spirito e il pennello, conducendolo a tradurre in immagini cariche di umanità e misticismo il frutto della sua spiritualità. Crocefissi, Madonne, Annunciazioni vibranti di luce limpida e pale d’altare stupende sono espressione di un’anima che, in semplicità evangelica, attraverso un umile e disciplinato lavoro di bottega, seppe vivere con il cuore in Cielo. Si narra dipingesse in ginocchio e non iniziasse mai una pittura senza aver prima pregato, commuovendosi quando riproduceva il Cristo in Croce. La sua fede era tanto alta quanto sublime la sua pittura, cosicché, gradualmente, si consolidò l’abitudine di chiamarlo con il soprannome molto indicativo di “Angelico”, che gli restò per sempre, anche dopo la morte. Fu il confratello fra Domenico da Corella (1403-1483) a chiamarlo in questo modo per la prima volta, nel 1469. Nelle opere pittoriche di Giovanni, come attestano i critici d’arte cattolici, non c’è mai contrapposizione tra umanità e divinità, corpo e spirito, fede e ragione. La dolcezza e la grazia delle figure nate “di getto” dal suo pennello, mai poi minimamente ritoccate, rivelano un perfetto connubio tra umanesimo e spiritualità. Con lui si realizza un’intima sintesi tra il rigore prospettico e l’attenzione alla figura umana, già rinascimentali, e la tradizione medievale che aveva tra i suoi postulati la funzione didattica dell’arte e il valore mistico della luce. Testimonianza della grandezza della sua arte sono gli affreschi realizzati tra il 1438 e il 1445 nel convento domenicano di San Marco a Firenze. Essi si possono definire “catechesi per immagini”, che, a grandezza naturale, ispirano una profonda immedesimazione nella Passione e Morte di Cristo. Si tratta di dipinti murali estesi e impegnativi, realizzati magistralmente dal frate pittore con la partecipazione di vari collaboratori. Ciascuna cella del convento fu decorata con un piccolo affresco di argomento sacro e meditativo, mentre la cella doppia riservata al nobile committente Cosimo de’ Medici “il Vecchio” (1389-1464), fu affrescata con un dipinto di dimensioni maggiori raffigurante l’Adorazione dei Magi. In quest’affresco, il tema sacro dell’Epifania è collocato in uno spoglio paesaggio roccioso che risponde al carattere religioso e devozionale impostato all’intero ciclo dal Beato Angelico, il quale concepì queste pitture in modo tale da esaltarne il valore spirituale a scapito di quello meramente decorativo. L’enorme successo di queste pitture sublimi, convinse il pontefice Eugenio IV (dal 1431 al 1447) a chiamarlo a dipingere in Vaticano una cappella nell’antica basilica di San Pietro, poi purtroppo andata distrutta. Si narra anche che il successore, papa Niccolò V (dal 1447 al 1455), nel 1449 non poté trattenere le lacrime al cospetto degli affreschi con le storie dei Santi Lorenzo e Stefano, commissionatigli nella cappella privata del Palazzo Apostolico. Nel duomo di Orvieto (oggi in provincia di Terni, regione Umbria), dipingendo congiuntamente a Benozzo Gozzoli (1420-1497), lasciò testimonianza di sé nella volta della Cappella di San Brizio. Tra il 1448 e il 1450, divenne priore del convento di San Domenico a Fiesole (Firenze), ruolo che svolse con umiltà e spirito di servizio. Fuggì sempre da ogni possibilità di avere potere, ricchezza e fama, anche in ambito religioso, come quando rifiutò senza esitazioni la sede episcopale di Firenze, che Niccolò V voleva assegnargli. Morì il 18 febbraio 1455 nel convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma, venendo inumato nell’attigua omonima basilica, dove si trovano ancora i suoi resti mortali. Fu dichiarato “Beato” il 3 ottobre 1982 dal pontefice San Giovanni Paolo II, che due anni dopo, nel 1984, lo proclamò Patrono Universale degli Artisti, sia per l’emozionante religiosità di tutte le sue opere che per le sue personali doti di umanità e umiltà alla sequela del Signore.
Roberto Moggi
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