Oggi
- 3 gennaio 2024 - mercoledì del Tempo di Natale, la Chiesa celebra la
memoria facoltativa del Santissimo Nome di Gesù. Questo glorioso nome
deriva dall’aramaico “Yeshu'a”, a sua volta tarda traduzione
dell’ebraico “Yehoshu'a” (nome proprio corrispondente al nostro
“Giosuè”), entrambi riportati nelle rispettive traslitterazioni nel
nostro alfabeto. L’ultimo nome, infine, traslitterato in greco biblico
come “Iesoùs” e poi in latino quale
“Iesus”, ha dato vita all’appellativo “Gesù”. Il nominativo “Yehoshu'a”,
tenendo presente che la scrittura tradizionale ebraica non segna le
vocali, con l’alfabeto latino si scrive “YHWH”, parola che forma il
cosiddetto “Tetragramma biblico”, cioè la sequenza delle quattro lettere
israelitiche (traslate in latino), da leggersi da destra a sinistra,
che compongono il nome proprio di Dio con l’accezione di “Salvezza”. Il
nome di Gesù significa dunque “YHWH è salvezza” o “YHWH salva”, in altre
parole “Dio salva”, esprimendone al tempo stesso identità e missione.
Nella “Teofania” (che nel greco antico letteralmente significa
“Manifestazione della divinità in forma sensibile”) dell’episodio
biblico del “Roveto ardente” (Esodo 3, 1-15), il Dio “nascosto”
dell’Antico Testamento si rivela a Mosè come “Io sono colui che sono”.
Questo nome, racchiuso nel tetragramma “YHWH” che molti ebrei non
pronunciano nemmeno ritenendolo sacro, reso con il titolo di “Signore”
(in ebraico “Adonai”, “Ascolta”), esprime sia che: “Dio è la pienezza
dell’Essere e di ogni perfezione, senza origine e senza fine”
(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 213), sia la fedeltà alla sua
promessa, che si compirà con Gesù Crocifisso e presente nella profezia
pronunciata prima della Passione: “Quando avrete innalzato il Figlio
dell’uomo, allora saprete che «Io sono»” (Giovanni 8, 28). In tutto il
Nuovo Testamento, poi, la sacralità che circonda il nome di Gesù, “Dio
salva”, imposto da Maria e Giuseppe al loro figlio unigenito dopo
l’invito che entrambi avevano ricevuto dall’angelo, s’innesta nella
progressiva rivelazione di Dio a Israele lungo l’intero Antico
Testamento. Il culto liturgico di questo grande nome, tuttavia, si è
radicato nella Chiesa solo tra il XV e XVI secolo, sebbene sia stato
sempre onorato e venerato fin dai primissimi secoli del cristianesimo,
come attestano nell’arte paleocristiana i diversi cosiddetti
“Cristogrammi” (combinazioni di lettere dell’alfabeto greco o latino
atte a indicare in forma abbreviata il nome di Cristo). Fu San
Bernardino da Siena (1380-1444) dell’Ordine dei Frati Minori
francescani, coadiuvato da altri confratelli, a diffondere con slancio e
fervore tale devozione, specialmente nei suoi “Discorsi” (Sermone 49
“De nomine Iesu”, cioè “Del nome di Gesù”), dove definisce il nome
“Splendore degli evangelizzanti”, ossia dei predicatori, prodigandosi a
tal punto da farne istituire la festa liturgica. Sempre a Bernardino è
legato il “Trigramma” (in linguistica la successione di tre lettere
indicante un unico suono) del nome di Gesù. Fu lui a inventarlo e
disegnarlo (tanto da essere considerato il patrono dei pubblicitari),
raffigurandolo come un sole raggiante su sfondo azzurro, con sopra le
lettere latine IHS, corrispondenti alle prime tre lettere del nome Gesù
in greco (ΙΗΣΟΥΣ, Iesoùs). Alcuni studiosi hanno dato anche altre
spiegazioni alle lettere IHS, come quella dell’abbreviazione del motto
costantiniano “In Hoc Signo (vinces)” (In questo segno vincerai), oppure
di “Iesus Hominum Salvator” (Gesù salvatore degli uomini). Gli altri
elementi della rappresentazione grafica sono anch’essi significativi.
Infatti, con il sole centrale Bernardino volle alludere a Cristo, che al
pari del sole, dona la vita, suggerendo anche l’idea dell’irradiarsi
della Carità. Il sole emana calore attraverso i raggi, dei quali, nel
disegno, dodici sono serpeggianti e otto diretti, chiaro riferimento ai
dodici Apostoli e alle otto Beatitudini. La fascia che circonda il sole è
la felicità senza fine dei beati. Anche i colori sono portatori di una
ricca simbologia. Il turchino o il celeste dello sfondo rappresenta la
fede, l’oro della scritta e del sole sta per l’amore. L’asta sinistra
della lettera "H" fu allungata e tagliata in alto, così da formare una
croce, che a volte è poggiata sulla linea mediana della stessa
consonante. Tutto il simbolo, normalmente ma non sempre, è circondato
dalla frase latina “In nomine Iesu omne genu flectatur celestium
terestrium et infernorum” (“Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra”). Ben presto divenne un emblema
esibito sulle facciate di edifici pubblici e privati, finanche sul
cosiddetto “Palazzo pubblico” di Siena, sua patria, mentre sventolava
sugli stendardi che precedevano il suo arrivo in qualche nuova città. Il
Trigramma ebbe un gran successo anche nel resto d’Europa, tanto da
essere riportato nello stendardo utilizzato in Francia da Santa Giovanna
d’Arco (1412-1431). Più tardi, lo stemma fu adottato come emblema della
Compagnia di Gesù, che divenne sostenitrice del culto del Santissimo
Nome, al quale dedicò alcune delle chiese più belle di tutto il mondo,
come ad esempio, la Chiesa del Gesù a Roma. Nel 1530, papa Clemente VII
(dal 1523 al 1534) autorizzò l'Ordine Francescano a recitare l'Ufficio
del Santissimo Nome di Gesù. Nel 1721, quando la celebrazione era già
ampiamente diffusa, il pontefice Innocenzo XIII (dal 1721 al 1724) la
estese a tutta la Chiesa. Attualmente ricorre il 3 gennaio, ripristinata
nel Calendario romano da papa San Giovanni Paolo II (dal 1978 al 2005).
Roberto Moggi
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