Santi Timóteo e Tito, vescovi

Oggi - 26 gennaio 2024 - venerdì della III settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria dei Santi Timóteo e Tito, vescovi. I loro nomi, rispettivamente in greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e latino, sono Timótheos o Timótheus (Timóteo) e Titos o Titus (Tito). Essi sono ricordati insieme in data odierna, giorno successivo alla festa della Conversione di San Paolo, dalla riforma del Calendario dei Santi operata da papa San Paolo VI nel 1969, poiché entrambi furono discepoli e stretti collaboratori dell’Apostolo delle Genti, che li ordinò vescovi. Considerato che Tito non morì martire, in questa celebrazione comune si tralascia tale titolo per Timoteo, che invece lo fu. In precedenza, Timòteo era ricordato il 24 gennaio, mentre Tito il 6 febbraio. Le fonti concernenti i due, mettono bene in luce la disponibilità di questi collaboratori dell’apostolo, la loro prontezza nell’assumere incarichi delicati, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. Erano talmente intimi con lui, che, quando questi si recò a Gerusalemme per incontrare gli apostoli, li portò ambedue con sé. Timòteo, circonciso (in quanto figlio di madre giudea) e Tito, che non lo era (in quanto di famiglia pagana), rappresentano rispettivamente gli uomini cosiddetti “della legge” e quelli “delle genti”. Con la prima definizione, in questo profondo simbolismo, s’intendono coloro che erano sottoposti all’antica legge mosaica, quindi gli ebrei osservanti; mentre con il secondo i “Gentili”, in altre parole tutte le genti non giudaiche partecipi dei costumi e della cultura greca nel mondo romano, quindi, in opposizione al popolo israelita, i pagani. Secondo la tradizione, Paolo scrisse due importanti “lettere pastorali” a Timòteo (1 e 2 Tm) e una a Tito (Tt), quando questi erano rispettivamente vescovi di Efeso, una delle più grandi città ellenistiche della regione Ionia in Anatolia (oggi presso la costa del mar Egeo dell'odierna Turchia asiatica) e di Creta, la più grande e popolosa isola greca. Sono le uniche lettere del Nuovo Testamento non indirizzate a comunità, ma a persone, contraddistinte dalle sapienti raccomandazioni rivolte ai due per l’istruzione dei rispettivi Pastori e dei fedeli. In esse Paolo, ormai anziano, si lascia andare ad annotazioni ricche di affetto verso i due, nella fiducia di aver messo nelle giuste mani l’annuncio del Vangelo del Signore. Timòteo nacque a Listra, in Licaonia (oggi nella parte sud-est dell’Anatolia, attuale Turchia asiatica) nel 17 circa, da padre pagano e madre giudea. Dopo essersi avvicinato alla locale comunità cristiana, grazie alla sua buona conoscenza delle Scritture vi godette grande stima. Divenne poi il discepolo prediletto dell’Apostolo delle Genti, forse convertito dallo stesso durante il suo primo viaggio missionario. Infatti, quando Paolo passò da Listra verso l’anno 50, fu la locale comunità dei credenti che glielo raccomandò, al punto che egli lo prese come compagno anche nel suo secondo e terzo viaggio, facendolo circoncidere, poiché figlio di un’ebrea, per facilitargli l’apostolato fra i giudei e per rispetto verso essi. Con Paolo, Timòteo attraversò l’Asia Minore, raggiunse la Macedonia e poi Atene, da dove fu inviato a Tessalonica (l’odierna Salonicco) e poi a Corinto, tutte località della Grecia, dove collaborò all’evangelizzazione. L’apostolo gli affidò numerosi incarichi e in varie circostanze le comunità di Tessalonica, della Macedonia e di Corinto, indirizzandogli le due predette lettere, incorporate nel canone del Nuovo Testamento. Timòteo si trovava con Paolo durante la prima prigionia di quest’ultimo. In seguito era nella città di Efeso come primo vescovo, quando Paolo, prigioniero per la seconda volta, richiese la sua compagnia a Roma. Timòteo sarebbe morto martire ad Efeso nel 97, lapidato per aver pubblicamente condannato, quale vescovo, il culto al dio pagano Dioniso. In data imprecisata, le sue reliquie furono portate a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente", salvo essere trasferite, nel 1239, nella cattedrale Santa Maria della Purificazione della città portuale adriatica di Termoli (in provincia di Campobasso, regione Molise), dove si trovano tuttora. Tito, l’altro fedele collaboratore di San Paolo, era invece di famiglia greca pagana. Di lui non si conoscono né il luogo né la data di nascita, anche se si ritiene che dovesse essere quasi coetaneo di Timòteo. Pare che l’Apostolo delle Genti l’abbia convertito a Cristo durante il suo primo viaggio missionario. Tito accompagnò a Gerusalemme Paolo e Barnaba (uno fra i più autorevoli esponenti della prima comunità cristiana, tanto che, pur non essendo dei Dodici, viene chiamato apostolo), dove Paolo si oppose energicamente alla sua circoncisione, difendendolo contro coloro che la pretendevano poiché proveniente “dai gentili”. In seguito Tito fu inviato alla comunità cristiana di Corinto, con lo scopo di riconciliarla con Paolo, facendo l’intermediario tra quest’ultima e l’apostolo. Nella lettera che gli indirizzò Paolo, appare residente a Creta come vescovo della locale Chiesa, incarico affidatogli dall’apostolo sicuramente dopo la sua liberazione dalla sua prigionia romana. Fu qui che San Paolo gli scrisse, pregandolo di raggiungerlo a Nicopoli nell’Epiro (regione compresa tra le attuali Albania meridionale e Grecia nord-occidentale). Probabilmente di lì lo inviò in Dalmazia, sulla costa adriatica dei Balcani, dove sarebbe deceduto di morte naturale dopo il 69 circa. Non si conosce il luogo della sua sepoltura, tuttavia il suo cranio è oggi conservato nella basilica a lui intitolata a Candia (oggi Heraklion, nella sua traslitterazione latina), capoluogo dell’isola greca di Creta.
Roberto Moggi
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