Oggi
- 31 gennaio 2024 - mercoledì della IV settimana del tempo ordinario,
la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Giovanni Bosco,
sacerdote. Giovanni Melchiorre, noto solo come Giovanni, che diventerà
universalmente noto come “Don Bosco”, nacque il 16 agosto 1815 a Colle
dei Becchi, piccola frazione di Castelnuovo d’Asti, in Piemonte,
nell’allora Regno di Sardegna (oggi - in suo onore - Castelnuovo Don
Bosco, in provincia di Asti, regione
Piemonte). I suoi genitori erano i poveri contadini Francesco Bosco e
Margherita Occhiena, che il padre, rimasto precocemente vedovo, aveva
sposato in seconde nozze. Non appena anche il padre morì di polmonite,
quando lui aveva solo due anni, in casa si dovettero affrontare
difficoltà d’ogni tipo, mentre cresceva con la mamma, il fratellino
Giuseppe, il fratellastro Antonio, più grande di lui, e la nonna
paterna. A nove anni - come egli stesso racconta nelle sue memorie -
fece un sogno premonitore, nel quale Gesù e la Vergine Maria gli
svelarono la missione a cui l’avevano chiamato, al servizio soprattutto
dei giovani più poveri e abbandonati. Questa chiamata, in seguito, gli
fu confermata più volte in modo straordinario. Ubbidiente alla divina
richiesta (peraltro congeniale alla sua indole), ricco com’era
d’intelligenza non comune, si preparò ad essa fin da piccolo, fra stenti
e ostacoli. Giovanni aveva la voglia e la capacità di studiare, ma il
fratellastro Antonio era contrario, sia per gelosia che per avere il suo
aiuto nei campi, costringendolo a istruirsi come poteva, nel poco tempo
libero dal duro lavoro agricolo. Solo la madre, da tutti conosciuta
come “Mamma Margherita”, bracciante semianalfabeta, ferventemente
religiosa e ricca d’amore, fece di tutto per assecondarlo. Essa si
rivelerà figura importantissima nel cammino di fede di Giovanni e nelle
sue coraggiose scelte di vita. Sarà sempre al suo fianco,
instancabilmente, aiutandolo e seguendolo energicamente fino al suo
ultimo respiro, tanto che, nel 2006, la Santa Sede le riconoscerà il
titolo di Venerabile. Già da fanciullo, Giovanni si mostrava pronto alla
propria missione evangelizzatrice tra fanciulli e ragazzi. Infatti,
particolarmente dopo la messa della domenica, riuniva i suoi coetanei
sul prato davanti casa, intrattenendoli con giochi vari e acrobazie che
aveva in precedenza imparato dai saltimbanchi delle fiere paesane, poi
ripeteva loro la predica che aveva ascoltato in chiesa e che ricordava
perfettamente essendo dotato di memoria eccezionale. Il 26 marzo 1826,
dopo la prima comunione, per sottrarsi alle prepotenze del fratellastro
dovette andarsene da casa, andando a lavorare come garzone alla vicina
cascina della famiglia Moglia. Nel novembre 1829 conobbe il parroco di
Morialdo (Asti) Don Giovanni Calosso, che, consapevole delle
potenzialità del ragazzo, lo aiutò negli studi dandogli anche le prime
lezioni di latino. Purtroppo il buon prete morì appena un anno dopo e
Giovanni poté riprendere a studiare, a pagamento, soltanto nel 1831,
terminando in soli quattro anni, a tempi da primato, sia le elementari
che il ginnasio. Si pagava la scuola facendo ogni sorta di mestieri che
la Divina Provvidenza gli permetteva di fare. Il 25 ottobre 1835, a
vent’anni, con tanti sacrifici riuscì a coronare il suo sogno, entrando
nel seminario di Chieri, presso Torino, dove studiò con grande profitto
per sei anni. In questo periodo frequentò assiduamente, nel tempo
libero, il locale duomo e, dopo adeguato discernimento, decise
definitivamente di porsi al servizio della gioventù abbandonata come
prete. Il 5 giugno 1841 venne ordinato sacerdote e subito dopo, su
consiglio del compaesano don Giuseppe Cafasso (1811-1860), futuro santo,
già suo professore nel collegio religioso, passò al Convitto
Ecclesiastico di Torino per perfezionarsi in teologia morale e
prepararsi ancora meglio al ministero sacerdotale. Nel capoluogo
piemontese, fu subito colpito dal triste e scandaloso spettacolo delle
centinaia di ragazzi e giovani completamente allo sbando, che vivevano
per strada di espedienti e malaffari, senza guida né lavoro, privi
d’avvenire e speranza, che finivano molto presto in galera o sulla
forca. L’8 dicembre 1841 cominciò il suo apostolato tra i giovani, nella
chiesa attigua al convitto, radunandovi dei ragazzi, il cui numero in
breve crebbe a dismisura, che intratteneva nella preghiera e nella sana e
goliardica socialità. Così, “rinfrescando” l’Istituzione creata da San
Filippo Neri intorno al 1550, nacque un poco alla volta l’Oratorio in
senso moderno. Un luogo, cioè, destinato all’aggregazione, alla
pastorale e alla ricreazione giovanile, dove educare cristianamente e
gestire, nella gioia e nel sano intrattenimento, bambini, ragazzi e
giovani, salvandoli dalla delinquenza. Per Don Bosco l'Oratorio era la
casa che accoglie, la Chiesa che evangelizza, l’ambiente che educa e il
cortile dove ci si incontra. Fu il posto dal quale partì tutta la sua
opera educativa. Il 12 aprile 1842, riuscì a ottenere il primo edificio
da adibire a questo scopo, l’Ospedaletto di Santa Filomena per bambine
disabili, che si stava costruendo nel quartiere periferico torinese di
Valdocco, per iniziativa della nobildonna francese Juliette Colbert de
Maulévrier sposa del marchese di Barolo, futura venerabile. Don Bosco
ottenne la struttura poiché molto stimato dalla marchesa, della quale
era secondo cappellano in un’altra struttura d’accoglienza. Nella nuova
struttura, inizialmente, le riunioni avvenivano in una stanza
trasformata in cappella e dedicata a San Francesco di Sales, di cui la
marchesa aveva fatto dipingere l’immagine su una parete. L’Oratorio,
superate diverse traversie, trovò poi la sua sede definitiva in un altro
edificio a poche centinaia di metri dal primo, dove, col tempo, si
aggiunse un internato per studenti e artigiani e, nel 1852, la relativa
chiesa dedicata allo stesso San Francesco di Sales. Valdocco era ormai
centro propulsore di una nuova spiritualità, che sarebbe diventato Casa
Madre di tutte le opere di Don Bosco. I ragazzi che ne frequentavano le
scuole, già centinaia, studiavano e imparavano un mestiere nei
laboratori che egli aveva fatto costruire per loro, non da ultima la
prima scuola grafica di tipografia del tempo. In tutta questa
prorompente opera educativa, ma anche materialmente nei lavori più umili
e faticosi, fu molto aiutato dalla sua “Mamma Margherita”, che fece
venire da Becchi per sostenerlo e perché facesse da mamma ai tanti suoi
ragazzi orfani e abbandonati. Il 18 dicembre 1859, infine, prendendo il
nome proprio da San Francesco di Sales, fondò la sua “Congregazione
Salesiana”, il cui nome completo è adesso “Società salesiana di San
Giovanni Bosco” e i cui membri sono detti “salesiani”, posta al servizio
della gioventù, che avrebbe raggiunto uno sviluppo incredibile in
Italia e nel mondo. Il 17 marzo 1861 veniva proclamato il Regno d’Italia
e Don Bosco dovette confrontarsi con le nuove autorità. Ciò nonostante,
nel 1868 poté vedere finalmente consacrata a Valdocco di Torino la
Basilica di Santa Maria Ausiliatrice, da lui fortemente voluta, frutto
delle grazie straordinarie elargite dalla Madonna e della sua
incrollabile fede. Il 24 maggio 1872, solo quattro anni dopo, ispirato
dal Cielo, realizzò un'altra grande opera dedicata alla Vergine,
fondando unitamente alla religiosa Suor Maria Domenica Mazzarello,
anch’essa futura santa, la “Congregazione delle Figlie di Maria
Ausiliatrice” per l’educazione della gioventù femminile, facendovi
confluire un primo gruppo di ragazze consacrate definite “Figlie
dell’Immacolata” ed eleggendo superiora la stessa Mazzarello. Nel 1874,
la Santa sede approvò definitivamente la Congregazione e, intanto, le
case dei “Salesiani” o “Salesiani Don Bosco”, com’erano familiarmente
definiti i suoi religiosi, si moltiplicavano, tanto che, nel 1876, Don
Bosco organizzò la prima spedizione missionaria in Argentina, all’epoca
meta di una cospicua immigrazione italiana. Da allora l’espansione
procedette a ritmi sempre più intensi. Nel suo instancabile apostolato
educativo, Don Bosco trovava anche il tempo di scrivere numerosi libri
cattolici per la gioventù, anche tradotti e pubblicati all’estero. Nel
1877 cominciò la pubblicazione regolare del celeberrimo “Bollettino
Salesiano”, giornalino periodico della Congregazione tutt’ora diffuso
nel mondo intero. Nell’acceso clima anticlericale dei suoi tempi,
l’Oratorio di Valdocco fu soggetto a frequenti visite e ispezioni, quasi
sempre provocatorie e pretestuose, da parte della polizia e delle
autorità del governo del tempo, al quale era nota la sua fedeltà
incondizionata al papa. Tuttavia, la lusinghiera fama che egli si era
guadagnato con la sua opera tra i giovani più emarginati, gli consentì
addirittura di fare da mediatore nei contrasti tra il Regno d’Italia e
la Santa Sede, per questo Don Bosco è anche considerato uno degli
antesignani della conciliazione fra Stato e Chiesa. Nel 1880 il
pontefice Leone XIII gli affidò la costruzione della Basilica del Sacro
Cuore a Roma e, negli anni seguenti, per poter riuscire nell’intento,
benché stanco e malato cercò fondi dappertutto, recandosi fino in
Francia e in Spagna, accolto trionfalmente. La basilica poté così essere
completata e consacrata nel 1887. Qui Don Bosco operò due prodigiosi
interventi, che contribuirono a confermare la fama di “santo” ancora
vivente: liberò totalmente dalla sordità un seminarista, che vedeva
compromessa la sua vocazione da questo difetto fisico, e guarì
all'istante pure una signora che da molti anni aveva un braccio
paralizzato. Nel frattempo si aggravarono le sue condizioni di salute e
morì nella Capitale il 31 gennaio 1888, nella sua stanza presso la casa
annessa alla stessa basilica. Fu beatificato dal pontefice Pio XI nel
1929 e dal medesimo canonizzato il 1° aprile 1934. Papa San Giovanni
Paolo II lo definì “Padre e maestro della gioventù” per la sua
pedagogia, sintetizzabile nel “Sistema preventivo”, che si basa su tre
pilastri: religione, ragione e amorevolezza e si propone di formare
buoni cristiani e onesti cittadini. Don Bosco è stato e resta uno dei
santi più popolari e amati.
Roberto Moggi
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