Oggi
- 6 gennaio 2024 - sabato del tempo di Natale, la Chiesa celebra la
solennità dell’Epifanìa del Signore. Il termine “Epifanìa”, mutuato dal
tardo latino “Epiphanìa”, deriva dal verbo greco antico “Epifàino”
(traslitterato nel nostro alfabeto), che significa “Mi manifesto” o “Mi
rendo manifesto”, a sua volta proveniente dal sostantivo femminile
“Epifàneia”, nella trascrizione latina dalla stessa lingua, che vuol
dire “Rivelazione”, “Manifestazione”,
“Apparizione”, “Venuta” o “Presenza divina”. Questa ricorrenza, dunque,
come per altro ci spiega il vigente Martirologio Romano, venera la
triplice manifestazione al mondo della gloria di Gesù Cristo. La prima a
Betlemme di Galilea, quando, neonato, fu adorato dai re Magi venuti
appositamente dall’Oriente. La seconda al fiume Giordano, quando fu
battezzato da Giovanni il Battista, unto dallo Spirito Santo e chiamato
Figlio da Dio Padre. La terza a Cana di Galilea, alla festa di nozze
dove fu invitato, quando mutò l’acqua in vino nuovo. Il vocabolo
Epifanìa, che nel mondo religioso greco antico indicava le azioni con
cui le divinità pagane si rivelavano agli uomini, passò nel
cristianesimo a designare le principali manifestazioni della divinità di
Gesù Cristo, resesi concrete nei vari miracoli, quali la guarigione dei
malati, lo scacciamento dei demoni, la moltiplicazione del cibo, la
trasformazione dell'acqua in vino e la risuscitazione dei morti.
Tuttavia, a cominciare dalla seconda metà del IV secolo circa, la
rivelazione o manifestazione della divinità di Gesù al mondo, fu più
specificamente individuata nell’episodio della sua adorazione da parte
dei re Magi, a Betlemme. L’odierna solennità viene celebrata dodici
giorni dopo il Natale, ossia il 6 gennaio per le Chiese occidentali e
per quelle orientali che seguono il calendario gregoriano, mentre il 19
gennaio per le Chiese orientali che seguono il calendario giuliano.
Nell’odierna festa, quindi, il mondo cristiano ricorda l’incontro con
Gesù Bambino da parte dei Magi, dotti e saggi orientali, e la loro
conversione alla fede nel Signore. L’arrivo dei tre re a Betlemme,
episodio basilare di tutto il Natale del Signore, è considerato da tutte
le Chiese cristiane così significativo da essere collocato fra le
celebrazioni più importanti di questo tempo liturgico forte. I vangeli
sinottici di Matteo (Mt 1, 1-25 e 2, 1-11) e Luca (Lc 1, 26-38 e 2,
1-20), ci testimoniano la venuta nella storia umana del Figlio di Dio,
intrecciando, senza sovrapporli, i modi e le forme dell’accoglienza o
del rifiuto che il mondo circostante gli riservò. I primi ad accoglierlo
dopo Maria e Giuseppe, furono i pastori, seguiti dai Magi e, poco più
tardi, dai due anziani giudei Simeone e Anna. Il primo oppositore del
Pargolo Divino, invece, fu il re Erode, sovrano della Giudea sotto il
protettorato romano di Palestina, la cui violenza assassina era
impastata di risentimento e prepotenza politica. In questo contesto
possiamo rileggere la venuta dei Magi. La loro iniziativa fu
sorprendente. Comunque si riesca a spiegare la loro determinazione a
muoversi basandosi solo su qualche calcolo astrologico, si è colpiti dal
profondo senso religioso del loro viaggio verso una meta ignota, appena
intravvista ma fermamente desiderata, tanto da portarli a coinvolgere
il potente di turno, lo stesso Erode, del quale tuttavia finirono per
prendersi gioco, non dandogli la soddisfazione di rispondere alla sua
richiesta di notizie circa il rintraccio del Bambino Gesù. ll loro fu un
vero e proprio pellegrinaggio, animato da profonda devozione e
illuminato significativamente dai loro doni preziosi per il neonato:
oro, incenso e mirra (dove l'oro simboleggia la regalità del pargoletto,
l'incenso la Sua divinità e la mirra - anticamente usata per la
mummificazione - il sacrificio e la morte dell'uomo Gesù). Fu un viaggio
che non arretrò né si scandalizzò di fronte alla non certo prevista
rude povertà di un neonato e dei suoi giovani genitori, mentre essi
credevano di trovare un re secondo gli schemi umani. Tutto l’episodio è
narrato da Matteo con la massima sobrietà. Una cronaca di semplici
fatti, ma carichi di un senso davanti al quale anche noi dobbiamo
fermarci con animo riverente. Non sappiamo nulla di più di questi
“sapienti orientali”, “scomparsi” nel ritorno alle loro terre, se non
che la mano di Dio li ha illuminati, animati e guidati, tanto da
compiere quello che a noi oggi appare come un serio e coinvolgente atto
di fede nel Figlio di Dio fatto uomo. L’aspetto che più ha trattenuto
l’attenzione delle generazioni cristiane, è che i tre saggi re
rappresentano, in modo molto concreto e sostanzioso, il mondo estraneo a
Israele, quello dei “pagani”, dei non ebrei. L’episodio dei Magi, prima
manifestazione della divinità del Signore, è dunque un primo
straordinario segnale che la chiamata di Dio tocca chiunque sia ben
disposto.
Roberto Moggi
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