Il Blog dello Psicologo
LO SAPEVI CHE?
Un bias cognitivo ci porta a supporre erroneamente che la felicità generata dall’acquisto di un oggetto sia duratura tanto quanto l’oggetto stesso.
Uno studio condotto alla Cornell University dal Dr. Thomas Gilovich, professore di psicologia, ha però permesso di scoprire, che in termini di soddisfazione, spendere soldi per l’acquisto di beni materiali è meno efficace rispetto all’investimento di denaro per vivere nuove esperienze.
Sarebbero almeno tre le motivazioni:
• ABITUDINE: I beni materiali esauriscono presto il loro “effetto novità” perdendo il loro potere attrattivo nella consuetudine della vita quotidiana;
•ASPETTATIVE: L’acquisto di beni materiali genera altre aspettative che ci spingono a comprare nuovi oggetti migliori di quelli già posseduti;
•CONFRONTI: Il possesso induce il confronto con quello altrui. In generale si tende a spostare l’attenzione su beni materiali altrui qualitativamente superiori ai propri.
Le esperienze, per quanto brevi, offrirebbero invece una felicità più duratura.
Per 4 motivi:
•INTEGRAZIONE IDENTITARIA: Le esperienze diventano parte della propria identità. Non si è i propri beni, ma si è l’accumulo di tutto ciò che si è visto, delle cose che sono state fatte e dei posti in cui si è stati. Un nuovo bene materiale non cambierà chi si è, un viaggio ad esempio, con le sue esperienze, ha più probabilità di farlo;
•ASSENZA DI CONFRONTO: La difficoltà a quantificare il valore relativo di due esperienze rende inutile il loro confronto. Non si paragonano esperienze nello stesso modo in cui si confrontano i beni materiali.
•IL POTERE DELL’ATTESA: L’attesa di una nuova esperienza genera eccitazione e divertimento mentre quella per un bene materiale impazienza.
•IL POTERE DELLA FUGACITÀ: La fugacità di un’esperienza porta ad apprezzarne maggiormente il valore rispetto a tutto ciò che ha una durata illimitata o protratta nel tempo.
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Mi permetto una considerazione che forse apparirà piuttosto elementare.
Una delle insane abitudini dei giorni nostri è quella di cercare la gratificazione uscendo a far compere, attività che piace tanto definire shopping, non perché si abbia un giustificato bisogno di un capo di abbigliamento, di un paio di scarpe o di un nuovo smartphone, quanto l'appagamento temporaneo, che spesso è limitato all'esiguo momento dell'acquisto, ma non appaga un'insoddisfazione esistenziale sempre latente in chi identifica la soddisfazione nell'accumulo di beni materiali, che possono soddisfare la sua abitudine di non apprezzare, e tanto meno cercare, un appagamento intellettuale in nuove esperienze, che già possono essere aumentate dall'amore per la lettura o nel perfezionare le proprie cognizioni culturali, etc., quanto quello basato sull'essere rappresentato dall'ostentazione di ciò che possiede.
Un interrogativo che può sorgere al riguardo, rispetto a quest'epoca, in cui la soglia di povertà è stata raggiunta anche da famiglie che, fino a qualche tempo fa, riuscivano a condurre una vita più o meno dignitosa, suggerire, come passatempo, a chi non ha problemi di penuria di denaro, di provare a divertirsi facendo donazioni a enti di beneficenza, a parrocchie, etc. potrebbe suscitare una reazione positiva?
Quanti hanno capito che, rispetto a spendere a piene mani per acquistare e quindi appropriarsi di un qualsiasi bene, è donare che ci arricchisce veramente? Una ricchezza che nessuno ci potrà rubare.
Se resteremo scettici, non rischieremo delusioni.
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