27 SETTEMBRE 2023 - SAN VINCENZO DE' PAOLI
Oggi - 27 settembre 2023 - mercoledì della XXV settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Vincenzo de’ Paoli, sacerdote e fondatore. Vincent de Paul (Vincenzo de’ Paoli), questi rispettivamente il suo nome e cognome in francese, nacque il 24 aprile 1581 a Pouy, nel sud-ovest del Regno di Francia (oggi nel dipartimento delle Landes, Francia), terzo dei sei figli di poveri contadini. Fin da piccolo fu costretto a occuparsi della campagna e del piccolo gregge di famiglia, istruendosi da autodidatta. Col tempo, però, i genitori si accorsero delle sue non comuni capacità intellettive e con grandi sacrifici lo fecero studiare. Pertanto, nel 1595, lo affidarono ai frati francescani del vicino convento di Dax, dove tuttavia soggiornò solo pochi mesi, perché si meritò l'insperato interesse di un ricco mecenate, il nobile de Comet, avvocato della vicina cittadina di Dax e giudice di Pouy, che, apprezzandone la vivissima intelligenza, lo accolse in casa come precettore dei suoi figli. Vincenzo intraprese poi gli studi ecclesiastici diocesani, che completò nel 1596, ricevendo la tonsura e gli ordini minori. Studio quindi teologia a Tolosa (sud-ovest della Francia), dove, il 23 settembre 1600, fu ordinato sacerdote. Lo stesso anno, per condurre una vita senza preoccupazioni economiche e materiali, si adoperò in ogni modo per ottenere un cosiddetto “Beneficio ecclesiastico” (proprietà fondiarie o immobiliari che si concedevano ai sacerdoti in usufrutto per compenso dei loro uffici e che, alla morte del sacerdote usufruttuario, ritornavano alla Chiesa), riuscendo a essere nominato, con l'appoggio del suo potente protettore de Comet, parroco del paese di Tilh, nella medesima regione. Ciò nonostante, dovette rinunciarvi e dedicarsi unicamente allo studio, perché la stessa parrocchia era già assegnata a un altro prete che gli contestò la legittimità della nomina. Dal 1604 al 1607, dopo avere terminato gli studi acquisendo il titolo di “Baccelliere”, inferiore alla laurea e alla licenza, visse il periodo più “nebuloso” della sua vita, talmente oscuro che di lui si perdono letteralmente le tracce. Per riscuotere il lascito di un testamento in suo favore, si imbarcò a Tolosa su una nave diretta a Marsiglia (principale porto della costa mediterranea francese), ma, non appena partito, l'imbarcazione fu assalita dai pirati cosiddetti “barbareschi” (arabi musulmani per lo più provenienti dalle coste delle odierne Algeria e Tunisia), che, come da lui stesso raccontato in seguito, lo catturarono e vendettero come schiavo sulle coste africane. Comunque, per grazia di Dio, riuscì in breve tempo a fuggire o a essere in qualche modo liberato, facendo ritorno in Francia. Si recò allora a Parigi, sempre desideroso di un “Beneficio ecclesiastico”, che gli pareva indispensabile per la sua stabilità economica. Dalla capitale del Regno, nel 1610, scrisse alla madre delle sue traversie e dei suoi progetti, sperando sempre di potersi “sistemare onoratamente”. In questo contesto di programmi e ambizioni, di sogni e delusioni, sempre molto ancorati alla mondanità, s’inserirono nella sua vita alcuni episodi e personaggi che incisero profondamente sul suo animo, dando vita a quella che sarà la sua definitiva “conversione”. Nel 1609, visse una delle umiliazioni più cocenti della sua esistenza, un’ingiusta accusa di furto, cui seppe reagire con grande pacatezza e umiltà, riuscendo a dimostrare la sua innocenza. In quell'occasione conobbe il cardinale Pierre de Bérulle, figura di spicco della spiritualità francese di quel tempo, col quale instaurò una sincera amicizia e che scelse, in seguito, come proprio direttore spirituale. Il porporato lo introdusse alla corte reale, presentandolo alla regina Margherita di Valois (1533-1615), moglie del re di Francia Enrico IV, venendo assunto con gli incarichi di cappellano ed elemosiniere. Qui conobbe un impiegato di corte, dottore in teologia, fortemente depresso e tentato dal diavolo, che aveva quasi perso la fede, a tal punto da volersi suicidare. Vincenzo, divinamente ispirato, non solo riuscì a tranquillizzarlo e farlo retrocedere dai suoi cupi propositi, ma giunse a offrirsi lui stesso a Dio per la guarigione del poveretto, chiedendo di trasferire nella sua anima le tribolazioni di lui. Il Signore lo esaudì e guarì il malcapitato, mentre Vincenzo cadde nel turbine di una profonda crisi spirituale che durò circa quattro anni. Ne venne fuori solo quando, seguendo gli impulsi della Grazia, prese la decisione di consacrare la sua vita al servizio degli ultimi, per amore di Gesù Cristo. Nel 1612, il cardinale de Bérulle, dovendo assegnare un curato alla parrocchia di Clichy, alla periferia di Parigi, propose l'incarico a Vincenzo, che accettò con grande entusiasmo, prendendone possesso il 2 maggio dello stesso anno. Qui predicava con entusiasmo e persuasione, visitava gli infermi, gli afflitti, i poveri. Dopo un anno, nel 1613, l’alto prelato lo fece diventare precettore di una delle più illustri casate presenti in quel momento in Francia, quella dei Gondi, banchieri italiani originari di Firenze, che avevano fatto fortuna al seguito della loro concittadina Caterina de Medici, madre della regina consorte Margherita di Valois. Vincenzo assunse il nuovo incarico, pur mantenendo la cura della parrocchia di Clichy fino al 1626. Nel nuovo prestigioso compito, si fece presto benvolere e, ammirati delle sue qualità, in segno di riconoscenza per il suo proficuo lavoro spirituale, i Gondi lo nominarono anche cappellano dei loro feudi in Francia. Finalmente Vincenzo vedeva realizzato il suo sogno, un tempo tanto ambito: una carica ecclesiastica presso la nobiltà, che gli assicurasse una vita agiata e senza problemi. Tuttavia, Vincenzo era ormai profondamente cambiato. Nel gennaio 1617, durante una visita a Folleville (nord della Francia), fu chiamato al capezzale di un povero contadino dei vicino villaggio di Gannes, che si apprestava a rendere l’anima a Dio. Lo incoraggiò a fare una confessione generale e l'esito fu insperato, poiché il contadino cominciò a confessare mancanze molto gravi, sempre taciute nelle precedenti confessioni. Al termine della riconciliazione, quel pover'uomo si sentì liberato dai rimorsi che lo avevano accompagnato fino allora e fu invaso da una gioia incontenibile. Il 25 gennaio, pochi giorni dopo quella confessione, colpito dall’episodio, nella festa della Conversione di san Paolo, Vincenzo tenne una predica in cui insegnava come fare una buona confessione generale. Era un martedì, ma era tanta la gente accorsa, desiderosa di liberarsi dai propri peccati col sacramento della penitenza, che non poté confessare tutti, dovendo chiedere aiuto ai Padri Gesuiti della vicina Amiens. Per Vincenzo fu una rivelazione e sentì chiaramente che quella era la sua missione, l'opera che Dio voleva da lui: portare la Parola di Dio e i suoi precetti alla povera gente delle campagne. Fu così che nel 1625, otto anni dopo, fondò la “Congregazione della Missione” con questo specifico carisma, considerando retroattivamente, però, proprio il 25 gennaio 1617 come giorno di fondazione della stessa e la predica fatta in quel medesimo giorno come “La prima predica della Missione”. Con l'aumentare del suo zelo apostolico, aumentava anche il suo disagio come precettore dei viziati e dispotici figli dei nobili Gondi. Allora il suo padre spirituale, il Cardinale de Bérulle, gli affidò la cura pastorale della lontana parrocchia di Châtillon les Dombes (oggi Châtillon sur Chalaronne), una cittadina nei pressi di Lione (sud-est della Francia) che risentiva fortemente dell'influsso calvinista della vicina Ginevra (Svizzera). Partì immediatamente, senza nemmeno comunicare ai Gondi le sue nuove intenzioni. Era la Quaresima del 1617. Si trasferì subito nella sua parrocchia. Fu qui che fondò la “Compagnia della Carità” il 20 agosto 1617: saputo dell’estrema indigenza di una famiglia intera, ne informò i parrocchiani che accorsero subito. Per non portare soccorsi in modo affrettato ed estemporaneo, chiamò un gruppo di persone della parrocchia e ne organizzò e motivò evangelicamente l’organizzazione stabile, distribuendo le responsabilità e i compiti. Si trattava del nucleo fondante di quello che sarà in futuro il “Movimento Laicale Vincenziano” e della “Compagnia delle Figlie della Carità”. Il 23 dicembre 1617, cedendo all'insistenza di quella ricca famiglia, tornò in casa Gondi, non più come precettore, ma semplicemente come cappellano dei loro possedimenti, deciso ormai a consacrarsi interamente alla salvezza della povera gente attraverso la predicazione e l'evangelizzazione. Da allora Vincenzo non tralasciò mai di inculcare la pratica della carità a tutte le persone che ricorrevano alla sua direzione spirituale e s’impegnò costantemente nell'istituire “Centri Attivi di Carità” ovunque predicava le missioni. In poco tempo, le confraternite raggiunsero anche le grandi città francesi. A esse aderivano sempre più numerose le dame e dovunque, si aveva un riscontro sempre positivo da parte di vescovi e parroci da un lato e di ufficiali e autorità comunali dall'altro. Nel 1629 le Confraternite della Carità raggiunsero Parigi e nel giro di pochi anni non vi fu parrocchia nella capitale che non avesse la sua Confraternita, impegnata con i trovatelli, i prigionieri, i galeotti, i mendicanti. Poiché le dame, però, come scriveva: “ … sono per la maggior parte di nobile condizione che non permette loro di adempiere le più basse e vili faccende occorrenti nell'esercizio della Confraternita stessa … ”, nel 1633 Vincenzo giunse alla fondazione delle “Figlie della Carità”. Infatti, con l'assistenza di Santa Luisa di Marillac (1591-1660), riorganizzò le confraternite d’assistenza fino allora fondate nell’anzidetta Compagnia. Il loro stile di vita s’ispirava a quello delle comunità religiose femminili, ma il loro carisma era legato a una concezione del tutto nuova della vita consacrata femminile. Evitò accuratamente ogni segno distintivo canonico che le potesse qualificare come religiose: non più “monache”, donne sole ma “suore”, sorelle di tutti, aperte alle esigenze degli altri non solo spiritualmente, ma nella concretezza della quotidianità, compagne di viaggio dei più sciagurati, stimolo costante alla solidarietà, alla fratellanza e alla ricerca delle cose essenziali che fanno ognuno prossimo dell'altro. Con il 1633, la vita di Vincenzo ebbe un’altra svolta, la terza. Aveva ormai cinquantatré anni ed era lontana l'epoca dell'ambizione. Vincenzo collaborò alla riforma monastica. Nel 1633, per il miglioramento del clero istituì le "Conferenze del martedì". Alla morte di Luigi XIII, nel 1643, quando la regina Anna d'Austria passò al potere della Francia, fu nominato membro del “Consiglio di Coscienza”. Nell’ultimo periodo della sua vita, la storia di Vincenzo diventa un pezzo di storia della Chiesa universale e della Francia. La Congregazione della Missione si espanse sempre più, mentre le Figlie della Carità erano richieste dappertutto: scuole, ospedali, parrocchie e ogni luogo dove c’era bisogno di carità pratica. Le Dame della Carità non si limitarono più solo alla vista dei malati: prestarono servizio ai feriti durante le guerre, ai galeotti e ai mendicanti. Pur avendo egli il genio dell'organizzazione, quello che colpisce non è il metodo, ma lo spirito del suo lavoro. Era cosciente di fare un'opera di Dio e, la coerenza interna del suo pensiero e della sua azione, nasceva proprio dall'unione di carità e Vangelo. Aveva scoperto di essere stato ricercato e infine raggiunto da Dio, tanto da sentirsi amato e da volere egli stesso amare. Il suo zelo e la sua passione per le anime erano unicamente espressione del suo amore per Dio. Il 27 settembre 1660 Vincenzo morì. Le sue ultime parole furono: "Gesù". Era vestito, seduto su una sedia, vicino al fuoco, come in attesa di qualcuno.
Roberto Moggi
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