27 GIUGNO 2023 - SAN CIRILLO DI ALESSANDRIA
Oggi - 27 giugno 2023 - martedì della XII settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di San Cirillo di Alessandria, vescovo e dottore della Chiesa. Di Kyrillos o Cyrillus (Cirillo), questo il suo nome rispettivamente in greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e latino, si conosce pochissimo prima della sua ordinazione episcopale. Nacque tra il 370 e il 380 circa, probabilmente ad Alessandria d’Egitto, grande città portuale cosmopolita e principalmente di cultura ellenistica sulla costa mediterranea della provincia romana d’Egitto, della quale era capoluogo. Di origine e cultura greca, era nipote del vescovo ellenico Teofilo, patriarca della Chiesa Copta, che resse con mano ferma e grande prestigio la diocesi alessandrina dal 385 fino alla morte nel 412. Cirillo, che manifestò una precoce vocazione spirituale, ricevette una fine istruzione, avviandosi presto alla vita religiosa. Nel 403 era a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, al seguito del suo potente zio. Con quest’ultimo, nel 406, partecipò anche al sinodo detto “della Quercia”, nella vicina Calcedonia, colonia greca in Bitinia, sul Mare di Marmara, di fronte a Costantinopoli (oggi quartiere asiatico di Istambul, Turchia). Questo concilio depose l’arcivescovo in carica nella stessa capitale, Giovanni Crisostomo (344/354-407), che diventerà santo, segnando il trionfo della sede episcopale alessandrina su quella tradizionalmente rivale di Costantinopoli. Nel 412, alla morte dello zio Teofilo, l’ancora giovane Cirillo fu eletto quale nuovo pastore dell’influente Chiesa di Alessandria, che governerà con grande energia per ben trentadue anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma. Qualche anno dopo, nel 417 o 418, si dimostrò vescovo conciliante e realista nel ricomporre la rottura della comunione con Costantinopoli, che era in atto ormai dal 406, in conseguenza della deposizione di Giovanni Crisostomo. Ciò nonostante, il vecchio contrasto con la sede costantinopolitana si riaccese una decina di anni più tardi, quando nel 428 vi fu eletto arcivescovo il teologo siro Nestorio (o Nestore), autorevole e severo monaco di formazione antiochena, che reggerà la sede fino al 431. Il nuovo Pastore di Costantinopoli, infatti, suscitò presto opposizioni perché preferiva per la Madonna il titolo di “Madre di Cristo” (in greco traslitterato “Christotókos”), in luogo di quello - già molto caro alla devozione popolare - di “Madre di Dio” (“Theotókos”). Motivo della scelta di Nestorio era la sua adesione alla cristologia di tipo antiocheno che, per salvaguardare l’importanza dell’umanità di Cristo, finiva per affermarne la divisione dalla divinità. Così non era più vera l’unione tra Dio e l’uomo in Cristo e di conseguenza, naturalmente, non si poteva più parlare di “Madre di Dio”. La reazione di Cirillo, tra l’altro massimo esponente della cristologia alessandrina, che intendeva invece sostenere fortemente l’unità della persona di Cristo, fu quasi immediata e si dispiegò con ogni mezzo già dal 429, rivolgendosi, anche con alcune lettere, allo stesso Nestorio. Nella sua seconda missiva, nel febbraio del 430, inserì una chiara affermazione del dovere dei Pastori nel preservare la fede del Popolo di Dio. Questo era il suo criterio, valido peraltro anche oggi, asserente che la fede del Popolo di Dio è tradizione e garanzia della sana dottrina. Nella stessa lettera, Cirillo descriveva con chiarezza la sua fede cristologica, evidenziando ciò che riteneva importante accettare, in altre parole che, realmente, vera umanità e divinità si uniscono nella sola persona di Gesù Cristo. Presto Cirillo, grazie ad accorte alleanze, ottenne che Nestorio fosse ripetutamente condannato, prima da parte della superiore Sede Romana; quindi con una serie di dodici “anatematismi” (formule con cui l’eretico è colpito da “anatema”, cioè, nel linguaggio cristiano antico, la scomunica solennemente lanciata contro eretici e scismatici), da lui stesso composti, e, infine, dal terzo concilio ecumenico, tenutosi nel 431 a Efeso (città greca dell’Anatolia egea). Quest’ultima assemblea, svoltasi con alterne e tumultuose vicende, terminò con il primo grande trionfo della devozione a Maria e con l’esilio dell’arcivescovo Nestorio, ostinato nel non volere riconoscere alla Vergine il titolo di “Madre di Dio”. Dopo avere così prevalso sul rivale e sulla dottrina eretica di quest’ultimo, Cirillo seppe però giungere, già nel 433, a una formula teologica di riconciliazione con gli antiocheni. Anche questo è indicativo della sua opera: da una parte c’è la chiarezza della dottrina di fede, ma dall’altra anche la ricerca intensa dell’unità e della riconciliazione. Negli anni seguenti si dedicò in ogni modo a difendere e a chiarire la sua posizione teologica, facendolo fino all’ultimo respiro, sopraggiunto il 27 giugno del 444. Nel 451, sette anni dopo la sua morte, le affermazioni teologiche contenute nella famosa sua seconda lettera a Nestorio, furono approvate dal quarto concilio ecumenico di Calcedonia (colonia greca in Bitinia, Anatolia, posta sulla riva del Mar di Marmara, di fronte a Costantinopoli). Cirillo d’Alessandria è un grande personaggio della Chiesa, che nell’oriente greco fu più tardi definito “Custode dell’esattezza”, da intendersi della vera fede e addirittura “Sigillo dei Padri”. Queste antiche espressioni manifestano bene anche un dato di fatto che gli è caratteristico, cioè il suo costante riferimento agli autori ecclesiastici precedenti (tra questi, soprattutto Sant’Atanasio detto “il Grande”, vescovo, teologo e ottavo Papa della Chiesa Copta, dal 328 al 373), con lo scopo di mostrare la continuità della propria teologia con la tradizione. Egli s’inserisce volutamente ed esplicitamente nella tradizione della Chiesa, nella quale riconosce la garanzia della continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso. Nel 1882 San Cirillo fu proclamato dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII.
Roberto Moggi
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