23 MAGGIO 2023 - SAN GIOVANNI BATTISTA DE ROSSI
Oggi - 23 maggio 2023 - martedì della VII settimana di Pasqua, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giovanni Battista De Rossi, sacerdote (memoria facoltativa nella diocesi di Roma). Giovanni Battista, chiamato semplicemente Giovanni, nacque il 22 febbraio 1698 nel villaggio montano di Voltaggio, nell’allora “Serenissima” Repubblica di Genova (oggi in Provincia di Alessandria, regione Piemonte), da una povera famiglia contadina. Sin dall'infanzia si faceva notare per il suo candore, la bontà e l’angelica pietà, tanto che, nel 1708, la nobile casata genovese Scorza, che ogni estate si ritirava al fresco nel proprio palazzo di Voltaggio, ne rimase così edificata che lo volle portare in città come paggio di famiglia. Nel 1711, dopo tre anni di onorato servizio, si trasferì a Roma chiamato da uno zio paterno, padre provinciale dei frati Cappuccini e dal cugino, canonico della basilica romana di Santa Maria in Cosmedin. Fu proprio nella Città Eterna che si manifestarono i primi segnali dell’epilessia, malattia invalidante che non lo abbandonò mai per tutta la vita. A Roma prese alloggio presso detto cugino, frequentando i corsi di studio umanistico, scientifico e teologico del prestigioso Collegio Romano. Studiava incessantemente, con grandissimo impegno, alternando lo studio alla preghiera e alle penitenze, sentendo viva la chiamata alla vita sacerdotale. Si addottorò in filosofia con lode, ma andò incontro a un forte esaurimento a causa dell’eccessivo impegno e a nuovi attacchi d'epilessia. Fu costretto, suo malgrado, a lasciare il collegio, ma, nonostante tutto, non interruppe gli studi, continuandoli come semplice uditore presso i frati Domenicani di Santa Maria sopra Minerva. Lungi dal rammaricarsi della sua infermità, Giovanni ne ringraziò Dio perché, diceva, se avesse potuto seguire gli studi come desiderava, avrebbe sicuramente peccato con la vanità di farli da dotto e da letterato. La triste esperienza gli servì in seguito per raccomandare, ai giovani specialmente, di non praticare eccessive penitenze. Nel frattempo, Giovanni continuò a frequentare, all’interno del Collegio Romano, la congregazione religiosa detta “della Scaletta”, in cui era entrato nel 1712 con l'ufficio di sacrestano. Sotto la direzione spirituale di un celebre educatore Gesuita, padre Francesco Maria Galluzzi (1671-1731), futuro Servo di Dio, maturò una grande devozione per il santo Gesuita Luigi Gonzaga (1568-1591) e fu introdotto nel ristretto cerchio degli studenti della Basilica dei Santi XII Apostoli, lanciato nell'apostolato tra i suoi coetanei. Benché non fosse troppo bravo negli studi, per la rettitudine di spirito, l'abitudine di chiedere sempre consiglio nei dubbi e soprattutto per la luce della grazia con cui Dio si era compiaciuto di colmarlo, fu ordinato sacerdote l'8 marzo 1721. Lo stesso giorno egli fece voto di non chiedere mai alcun beneficio ecclesiastico e di non accettarlo salvo che non vi fosse stato costretto dell'ubbidienza. Risoluto a modellare la sua vita sui decreti del Concilio di Trento (1545-1563), s'iscrisse all'associazione di sacerdoti che era sorta nell'Oratorio del Caravita (la chiesa di San Francesco Saverio nel rione Pigna) e cominciò un'esistenza tutta dedita al ministero sacerdotale, all'educazione e al sollievo materiale e spirituale dei poveri. Finché le forze glielo permisero, recitò sempre l'ufficio divino genuflesso, ora con lacrime, ora con affettuosi sospiri. Non celebrò mai la Messa prima di aver avere pregato Mattutino e Lodi e fatto un'ora di meditazione pure in ginocchio. Durante il Santo Sacrificio il volto gli si accendeva, e dalla consacrazione fino alla comunione, era sempre assalito da un insolito tremore in tutte le membra. Lo straordinario fenomeno era effetto di quella soave dolcezza con cui il Signore gli inondava l'anima. Benché non fosse stato ancora autorizzato a confessare, due volte la settimana Giovanni si recava a quello che allora era chiamato Campo Vaccino (Foro Romano) per preparare ai sacramenti i butteri e i pastori che conducevano il bestiame al mercato. Ben presto s'iscrisse pure alla Pia Unione di Santa Galla che aveva cura dell'omonimo Ospizio, ove trovavano ricovero i senza tetto e per oltre quarant'anni egli ne frequentò sempre tutti gli esercizi spirituali. Nello stesso Ospizio, non si accontentò di radunare i poveri nei giorni stabiliti, per l'insegnamento della dottrina cristiana, ma introdusse la comunione generale una volta il mese e le missioni una volta l’anno. La grande pazienza, la generosità e la bontà con cui Giovanni trattava “gli ultimi”, gli procurarono subito la loro venerazione, tanto che lo chiamavano con molto rispetto “Signor Maestro”. Egli non tollerava che a essi fossero fatte ingiustizie o che fossero offesi, provando dispiacere quando sentiva qualcuno chiamarli “Birbe di Santa Galla”. Avrebbe stabilito volentieri il suo domicilio tra loro, ma non gli fu concesso. Presso la chiesa sorgeva il ricovero per gli uomini, ma non esisteva quello per le donne. Giovanni allora vi provvide nel 1731, tramite le offerte di benefattori e l'aiuto di papa Clemente XII (dal 1730 al 1740), giacché lui non aveva introiti economici ed era mantenuto dal cugino canonico. Per assicurargli un onesto sostentamento, quest’ultimo lo supplicò un giorno di accettare la coadiutoria al suo canonicato, ma egli, fedele al voto fatto di non accettare benefici economici, accolse soltanto il 5 febbraio 1735, quando il suo nuovo confessore lo obbligò ad acconsentire. Nel 1737, quando suo cugino morì, Giovanni si trasferì in un granaio contiguo alla chiesa di Santa Maria in Cosmedin, che trasformò in abitazione, per essere più pronto al servizio alla basilica e al coro. A causa delle sue ormai gravi infermità, dopo nove anni fu esortato a trasferirsi nel convitto dei sacerdoti della Santissima Trinità dei Pellegrini. Per accrescere il decoro della basilica egli offrì somme di denaro e per provvedere al sostentamento dell'organista donò una casa che aveva ereditato dal cugino. Nella basilica minore di Santa Maria in Cosmedin nel Rione ripa, era venerata un'antica immagine della Santa Vergine. Giovanni ottenne dai colleghi di terminare il divino ufficio con il canto delle Litanie Lauretane, prostrati dinanzi ad essa, e di preparare il popolo alla festa della natività di Maria, titolare della basilica, con una solenne novena predicata. A causa delle sue tante sofferenze fisiche, Giovanni non aveva mai esercitato il ministero della confessione, per il quale non era neanche abilitato. Tuttavia il Signore, che voleva da lui la santificazione proprio attraverso il sacramento della penitenza, ispirò a Monsignor Giovanni Tenderlini, vescovo di Civita Castellana (Viterbo), presso il quale Giovanni si era ritirato dopo un’altra grave malattia, di adibirlo ugualmente a confessare nella sua diocesi durante la convalescenza. Il santo ubbidì e con meraviglia costatò che, senza il più lieve incomodo, poteva attendere anche a quel ministero. Tornato a Roma, approfondì per qualche anno lo studio della morale e poi, nel 1739, chiese d’essere ammesso all'esame per l’abilitazione formale alla confessione. In breve tempo Santa Maria in Cosmedin divenne il “Rifugio dei peccatori”, tanto era grande l'attrattiva che Giovanni esercitava su di loro, con la sua bontà e il dono di leggere nelle coscienze. Comunque, essendo obbligato al Coro, non sempre gli era possibile accontentare tutti e, pertanto, chiese l'esenzione dal Coro a papa Clemente XII per i giorni di maggior diverso impegno. Ciò nonostante, più volte fu costretto a ritardare la celebrazione della Messa fin verso mezzogiorno tant'era grande la ressa di popolo accorso da ogni parte attorno al suo confessionale, ma non accondiscese mai a diventare confessore ordinario di nobili e ricchi. La carità di Giovanni si rivolgeva naturalmente anche ai malati e amava riservare tutto il tempo che poteva per gli infermi e i poveri. Anzi, a imitazione di San Filippo Neri, confessò i suoi figli spirituali anche quando giaceva a letto malato, giacché era convinto che la strada più breve e sicura per andare in Paradiso fosse quella dell'assiduità al sacramento della penitenza. Appena veniva a sapere che un malato desiderava la confessione e la comunione, smetteva anche di pranzare o di dormire per andarlo subito a confessare, consolare e a portargli denaro, cibi e vesti. Sapeva commuovere anche i cuori più induriti ricordando a tutti che la miseria umana costituisce il trono dell'infinita misericordia di Dio. Sovente gli capitava di passare attraverso il “Ghetto”, il quartiere ebraico dell’Urbe. Prima di entrarvi recitava il Credo e poi sospirava, considerando con compassione la “cecità” degli ebrei. Altrettanta carità mostrò verso i carcerati, che divennero anch’essi suoi amici e penitenti. Il nuovo pontefice Benedetto XIV (dal 1740 al 1758), volle che una volta la settimana Giovanni istruisse pure le guardie, prima nell'oratorio della Congregazione delle Cinque Piaghe di nostro Signore, e poi nell'oratorio di Santa Maria del Pianto. Il santo accettò di diventare il loro Predicatore a condizione che non gli fosse assegnato compenso alcuno, volendo sovra spendersi soltanto per la maggior gloria di Dio e il bene delle anime. I superiori apprezzarono il suo zelo indefesso e più volte lo incaricarono di dettare gli esercizi spirituali nei monasteri e nelle case religiose, di dispensare la parola di Dio dai pulpiti delle chiese di Roma o di tenervi catechismi in preparazione al precetto pasquale. Benché godesse poca salute e, abitualmente fosse sofferente di tremendi dolori alla testa, legati all’epilessia, egli giunse a tenere anche cinque o sei diversi sermoni in un giorno solo, su differenti argomenti e con chiarezza estrema. Per molti anni si recò pure a predicare le missioni nei feudi più abbandonati della campagna romana, come pure nel resto del Lazio, nell'Umbria e nell'Abruzzo. Ebbe modo di convertire innumerevoli peccatori e, costatando spesso i tristi effetti che producevano nei fedeli la mancanza di zelo dei Pastori, cercò di promuovere nel clero secolare lo spirito della loro vocazione, con la preghiera, l'esempio, le private esortazioni, i ritiri e le conferenze spirituali. Quantunque egli si affaticasse tanto a vantaggio spirituale e materiale del prossimo, si riteneva un servo inutile. Nel 1763, l’estrema debolezza nelle gambe e il totale sfinimento ne fecero prevedere l’imminente fine. I suoi amici lo condussero a respirare aria più salubre ad Ariccia (Roma), sui colli dei Castelli Romani, ma egli preferì tornare al convitto della Santissima Trinità dei Pellegrini. Qui, dopo l'aggravamento dell'epilessia negli ultimi mesi di vita, che lo costrinse a un vero e proprio calvario, morì dopo parecchi attacchi di cuore il 23 maggio 1764. I funerali furono fatti a spese dei convittori, perché il defunto aveva distribuito tutti i suoi averi ai poveri. Dal cugino canonico aveva ereditato un discreto patrimonio, ma egli se n'era servito per comprare agli indigenti letti e coperte, oltre che cibo e vestiti. Sovente si era ridotto a vivere con l'aiuto dei benefattori, perché nel fare elemosina non conobbe limiti. Gli capitò di non potere avere denaro e, allora, giunse a donare ai poveri il proprio letto, le scarpe e persino i calzoni. Papa Pio IX lo beatificò il 2 agosto 1859 e il pontefice Leone XIII lo canonizzò l'8 dicembre 1881. Le sue reliquie sono venerate nella chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini a Roma.
Roberto Moggi
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