6 Aprile 2023 - Giovedì Santo

6 APRILE 2023 - GIOVEDI' SANTO
Oggi - 6 aprile 2023 - la Chiesa celebra il Giovedì Santo. Questo giorno della Settimana Santa fa memoria dell’Ultima Cena, che Gesù consumò con i Suoi discepoli, durante la quale istituì l’Eucaristia e il Sacerdozio (Cf. Lc 22, 19-22) e lavò loro i piedi, fornendo un modello di amore e servizio verso gli altri, ribadito dall’invito a comportarsi allo stesso modo, come riportato dal Vangelo secondo Giovanni che si proclama nella messa serale detta “nella Cena del Signore” (Cf. Gv 13, 3-15). Questi avvenimenti sono ricordati nella messa vespertina odierna della “Cena del Signore”, nella quale si tiene anche il rito della lavanda dei piedi. In questo giorno, la liturgia prevede la celebrazione di due sole e distinte messe, una al mattino, detta “del Crisma” o “Crismale” e una vespertina (serale) denominata “in Cena Domini”, in altre parole “nella Cena del Signore”. Con la celebrazione vespertina termina il tempo di Quaresima, iniziato lo scorso 22 febbraio con il Mercoledì delle Ceneri, e comincia il Triduo Pasquale, ossia quel periodo di tre giorni - 6, 7 e 8 aprile - nei quali si commemora la Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, che ha il suo centro nella solenne Veglia Pasquale del prossimo sabato 8 aprile. Al triduo segue la Domenica di Pasqua, il 9 aprile. La messa mattutina “del Crisma” (che tuttavia si può celebrare anche la sera del Mercoledì Santo), prende il nome dal termine greco “Chrisma” (nella sua traslitterazione nel nostro alfabeto), che significa “unguento” o “unzione”, riferito a un olio mescolato con essenze di profumo, utilizzato per amministrare i sacramenti del Battesimo, della Confermazione (che dall'olio crismale prende anche il nome di Cresima) e dell’Ordine Sacro (cioè nell'ordinazione dei presbiteri e dei vescovi). L’etimologia della parola rimanda all'azione dell'ungere che il vescovo o il sacerdote compiono sul capo di chi riceve il sacramento, ma con il Crisma vengono anche unte le mani dei presbiteri durante il rito della loro ordinazione e può essere fatta anche su particolari oggetti sacri, come il calice e la patena, usati per la celebrazione eucaristica. Questa messa è detta “Crismale” proprio perché vi è consacrato quest'olio, ritenuto il più importante tra i tre usati nei sacramenti cristiani, da utilizzare nel corso dell’anno liturgico successivo. Gli altri due olii benedetti in questa funzione, sono quello dei Catecumeni, usato per il Battesimo, e degli Infermi, utilizzato per l’unzione dei malati. La celebrazione si tiene al mattino (ma è possibile anticiparla alla sera precedente) nella cattedrale di ogni singola diocesi (a Roma nella Basilica di San Pietro in Vaticano, presieduta dal papa, vescovo della Città Eterna), con il vescovo che presiede e tutti i sacerdoti e diaconi della propria diocesi, radunati attorno a lui quale visibile conferma dell’unità della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo, che concelebrano. La messa vespertina in “Cena Domini”, in altre parole “nella Cena del Signore”, prende nome dall’Ultima Cena che il Signore Gesù tenne con i suoi apostoli. Si officia la sera, nelle varie parrocchie e chiese, a cura dei relativi parroci e presbiteri (che nella mattina hanno partecipato alla messa crismale). In questa celebrazione si ricorda che, durante l’Ultima Cena, il Signore istituì l'Eucaristia e il Sacerdozio Ministeriale, dando anche un indicativo esempio dello stile di servizio nell’umiltà, attraverso il gesto della “Lavanda dei piedi”. Tuttavia, questo è anche il convivio del tradimento di Giuda. I quattro i Vangeli sinottici (secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni), riferiscono concordemente che Gesù, mentre si trovava a Gerusalemme con gli apostoli, avvicinandosi la festa “degli Azzimi”, ossia la pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro sostenitore, in una stanza poi nota come “Cenacolo”. La pasqua ebraica era (ed è tuttora) la più solenne festa dei giudei, che - come spiega il libro dell’Esodo - rievocando la loro liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, si protraeva dal 14 al 21 del mese israelitico di Nisan (marzo-aprile), venendo onorata con un preciso rituale (Cf. Es 12). Quella sera, Gesù e i discepoli consumarono un agnello, durante la cena tradizionale in cui era stabilito ogni minimo gesto e particolare, mangiando solo il prescritto pane senza lievito (in greco traslitterato nel nostro alfabeto: “azymos”, da cui il termine “azzimo”). Durante il convito serale, Gesù, che per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti, tenne un discorso dove s'intrecciano commiato, promessa e consacrazione. Il solo Vangelo di Giovanni - che però, a differenza dei cosiddetti Vangeli sinottici (Marco, Luca, Matteo), non racconta l'istituzione dell'Eucaristia - riporta l'episodio della Lavanda dei piedi. Durante la cena, mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota il proposito di tradirlo, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché all’epoca riservato agli schiavi e ai servi, si mise a lavare i piedi degli apostoli, asciugandoli poi con l’asciugamano di cui si era cinto (Cf. Gv 13, 1-15). A questo proposito, bisogna ricordare e rilevare che, in quell’epoca, si andava a piedi su strade polverose o fangose, magari anche sporche di escrementi animali, che rendevano i piedi, al più calzanti sandali aperti, parecchio sporchi alla fine di un viaggio o di una giornata. La lavanda dei piedi era pertanto una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico ed era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito o del figlio verso il padre. Quando fu il suo turno di farsi lavare i piedi, Simon Pietro si oppose al gesto di Gesù e lo accettò solo dopo che il Maestro gli ebbe spiegato che era un gesto necessario, che avrebbe capito in seguito e che gli avrebbe permesso di “avere parte” con Lui (ossia di “averci a che fare”, “entrarci in qualche modo”). Questa lavanda è una delle più grandi lezioni d’amore e umiltà che Gesù dona ai suoi discepoli, affinché possano seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti, del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, specialmente “gli ultimi”, che erano considerati inferiori. Dopo il lavabo, per l’epoca inconcepibile e travolgente, Gesù si ricompose, tornò a sedere fra i Dodici e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che egli avrebbe subito di lì a poco da parte di “uno di loro”, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio. Alle Sue parole gli apostoli reagirono sgomenti, domandandogli esplicitamente chi fosse il traditore. Glielo domandò lo stesso Giovanni, il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto in un gesto di amore e confidenza, al quale Gesù, commosso, rispose che il traditore era colui per il quale avrebbe intinto nel piatto un boccone di pane, che poi avrebbe dato allo stesso. Cristo, infatti, porse il boccone a Giuda Iscariota, dicendogli di “fare presto quello che doveva fare”, fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire. Giuda, a quel punto, preso il boccone si alzò e uscì nell’oscurità della notte per portare a compimento il suo triste disegno (Cf. Gv 13, 1-38). La liturgia del Giovedì Santo si conclude dopo la messa “della Cena”, con la riposizione dell’Eucaristia in una cappella secondaria delle chiese, oppure in un altro ambiente o luogo adeguato, appositamente preparato e addobbato a festa. Questa cappella o questo luogo sarà meta di pubblica devozione e adorazione per la rimanente giornata e per tutto il giorno successivo, finché non iniziano i riti pomeridiani del Venerdì Santo. Tutto il resto della chiesa è oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù, le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta per mostrare l’assenza del Santissimo e i Crocefissi preferibilmente coperti.
Roberto Moggi
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