Quando
la convivenza, in una qualsiasi sua espressione, si fonda su una
disinteressata reciprocità e il bisogno di adeguarsi non ha alcun motivo
di esistere.
A proposito di un interrogativo formulato da una partecipante:
"Adeguarsi alla esigenze degli altri, soffocando le proprie, può essere una forma di cambiamento?"
Se
con il prossimo esiste una sintonia particolare, in una corresponsione
di sentimenti che siano affettivi o amicali, l'adeguamento avviene
spontaneamente e non è vissuto come una costrizione imposta che richiede
un adeguamento più o meno sofferto.
In
tal caso la convivenza, che sia rappresentata da un'unione
matrimoniale, da una profonda e compartecipe amicizia e quant'altro,
produce un cambiamento che, per quanto a priori poteva essere visto come
un compromesso, magari poco soddisfacente, si risolve in una crescita,
in un rinnovarsi insieme in un completamento ed arricchimento reciproci.
Non è tanto un adeguamento, ma una felice compartecipazione, che produce un cambiamento che arricchisce.
rm
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