210321 - Alla domanda "Vale la pena vivere?" Poter rispondere "SÌ!"

 TCNCH - 210321

Alla domanda "Vale la pena vivere?" mettiamoci in condizione di poter rispondere "SÌ" ed esserne convinti.

Arrivare a una certa età e chiederci quanto sia un bene o un male e se sentirci fortunati o meno.
Un traguardo con tutte gli inconvenienti che comporta, con le forze e spesso anche la salute che non sono più le stesse e tutte le persone che abbiamo visto venir meno, in una successione di eventi che abbiamo vissuto sempre di più come un memento mori.
Persone che hanno fatto parte della nostra vita, in famiglia e nell'ambiente che abbiamo frequentato e la loro dipartita ci ha procurato non solo il dolore del distacco, ma anche un senso di solitudine, perché ognuna si è portata via un pezzo di mondo che non frequenteremo più.
La solitudine, per molti, come unica e sofferta realtà da vivere, per la perdita del compagno e la lontananza dei figli.
Spesso le confidenze che scambiamo con i coetanei, più che confidenze sono veri e propri sfoghi. La persona compagna di una vita o qualche altro famigliare che non ci riconosce più, oltre agli inconvenienti fisici più o meno gravi che ci assillano, fa sorgere un altro interrogativo, quello di quanto riusciremo a essere coscienti e in possesso delle nostre facoltà mentali.
Tra i tanti fenomeni che possono indurci a uno stato ansioso, c'è il realizzare che il futuro, che eravamo abituati a considerare come un tempo indeterminato, senza soluzione di continuità, ci appare sempre più esiguo rispetto al passato trascorso.
E' un momento che ci può indurre a farci delle domande che mai avremmo immaginato fino a poco tempo fa.
"Dopo i sacrifici e le traversie che ho trascorso, ne è valsa la pena se è tutto qui quello che ho ottenuto?"
Ci siamo resi conto che la tanto auspicata serena vecchiaia, da trascorrere nel meritato riposo, tutto si è dimostrata meno che serena e il coraggio e la determinazione che eravamo convinti di avere, non erano niente rispetto a quanto ce ne servono per affrontare il momento che viviamo.
Rimasi stupito, a suo tempo, delle usanze in vigore in un monastero zen, con i giovani che hanno poca voglia di lavorare e sono trattati con gentilezza, mentre i più volenterosi sono spronati ad assolvere i loro compiti con la massima severità. Gli anziani poi, più invecchiano e più lavorano come forsennati, il tutto a stravolgere i modelli a cui siamo abituati, specialmente sulla vecchiaia, vista fare il paio con un auspicato e meritato riposo.
Le pratiche di meditazione, la cui essenzialità non le ha rese soggette a cambiamenti nel volgere dei secoli e l'esempio dei confratelli li hanno resi edotti di come deve essere affrontata la vita specialmente in tarda età.
Tra le tante cose che ci vengono insegnate o che apprendiamo con l'esperienza, spesso manca quella più essenziale: in che consiste la vita.
La vita terrena non è altro che una brevissima parentesi, che serve a perfezionare la spiritualità acquisita o almeno a iniziare a farla sorgere, l'unica dote che conserveremo quando la parentesi si chiuderà.
Don Juan lo spiega in modo spiccio a Castaneda chi è lui e chi segue lo stesso percorso di conoscenza, che riporto come mi ricordo:
"A differenza degli esseri che vivono come se fossero immortali, il nostro comportamento è dovuta alla consapevolezza di dover morire"
Il modo di vivere che impariamo nell'ambiente in cui viviamo, come se fossimo immortali, in una società che ci incoraggia a prediligere il successo, l'apparire giovani, il possesso di beni materiali e nella quale gli anziani sono sempre più visti come esseri da mettere in disparte, anche perché rappresentano un mercato poco appetibile per la società dei consumi.
A meno che il piacere di leggere non ci abbia fatto incontrare qualche testo particolare, è difficile che qualche educatore o insegnante ci abbia detto che abbiamo il potere di cambiare e migliorare il nostro atteggiamento verso la vita e di conseguenza riuscire a migliorarla.
E tutto ciò per mezzo del meraviglioso potere della nostra mente, di cui siamo pressoché inconsapevoli, sfruttando una percentuale minima delle nostre facoltà mentali.
Di questo dobbiamo convincerci, che per mezzo della nostra mente, siamo in grado di migliorare il nostro stato psicofisico, non solo raggiungendo una visuale più serena della vita, ma anche riuscendo a migliorare la nostra salute.
Le tecniche sono diverse, da preghiere formulate in modo particolare, con la massima concentrazione, alla meditazione corroborata non solo da esercizi mentali, ma anche da metodi di respirazione controllata, alla pronuncia di uno o più mantra.
Cercare poi di stare il più possibile a contatto con la natura, fare dell'attività fisica anche in modo leggero, cercare a tutti i costi una qualsiasi attività che tenga in esercizio la mente, che siano parole crociate, la risoluzione di rebus, il gioco di carte, dama o scacchi, rimandare a memoria le poesie studiate a scuola, leggere il più possibile, che si tratti di libri o articoli sul web.
A prescindere dall'accettare o meno concetti del genere, una delle scuse più frequenti per astenersi dal provare è "Non ho tempo", un tempo che però si è costretti a trovare per forza nei disturbi fisici in cui si può incorrere.
Un atteggiamento che dobbiamo cercare di raggiungere ad ogni costo è quello del distacco. Non vorrei che si fraintendesse tale parola con disinteresse o menefreghismo, ma un sereno distacco verso tutto ciò che ci circonda, che siano persone, beni terreni o i nostri stessi sentimenti negativi di astio, angoscia, depressione e quant'altro.
Dando per scontato che tutto passa nella vita, noi compresi, cerchiamo di riuscire a vedere con un sereno distacco sia le persone che i beni materiali a cui siamo più affezionati.
Ciò non significa smettere di amare qualunque persona ci sia cara, ma perfezionare l'amore, eliminando qualsiasi sentimento egoistico di possessività e attaccamento, proprio come dovrebbe essere l'amore.
Va da sé che, oltre al distacco, un altro atteggiamento da coltivare assiduamente è la sobrietà, un'attività che risulta pressoché impossibile ad alcuni
Ogni volta che siamo presi da qualsiasi sentimento negativo, con la più valida giustificazione che possa avere, immaginiamo che chi lo esprime è una parte di noi della quale dobbiamo fare di tutto per liberarci, una persona piagnucolosa e fastidiosa assolutamente da evitare e mandare a quel paese.
La coltivazione della sobrietà non è un'attività semplice e richiede un altro lavoro anche esso non facile, l'abbattimento dell'importanza personale.
"... “Ti senti troppo maledettamente importante, ma dovrai cambiare! Sei così maledettamente importante che ti senti in diritto di irritarti di tutto. Sei così maledettamente importante che ti puoi permettere di andartene se le cose non vanno a modo tuo. Immagino che penserai che sia prova di carattere. E assurdo! Tu sei debole, e presuntuoso...” (Carlos Castaneda – Viaggio A Ixtlan)
L'attaccamento all'importanza personale, indotto dai modelli imposti dalla famiglia e dall'ambiente nel quale siamo vissuti, induce chi vi è abituato a un comportamento arrogante e spocchioso, oppure a un atteggiamento perennemente vittimistico e piagnucoloso. Ci si sente sempre incompresi e vittime delle circostanze e delle persone che frequentiamo.
Con tutta la giustificazione a cui danno diritto le circostanze avverse e i torti subiti, dobbiamo assolutamente renderci conto che il continuo addolorarci e recriminare su fatti ormai trascorsi o anche che viviamo nel presente, sono atteggiamenti dai quali ci dobbiamo liberare ad ogni costo.
Col trascorrere dell'età, indulgere continuamente in pensieri negativi può diventare di una pericolosità estrema, con la salute che può risentirne in modo grave e l'aspettativa di vita che diminuisce paurosamente.
Dobbiamo assolutamente liberarci di quella parte di noi che continua a lamentarsi e a recriminare, di quell'alter ego che si frappone come un ostacolo sempre più insormontabile e che ci impedisce di vivere una vita serena e soddisfacente.
È come se rappresentassimo due persone e quella sobria fa di tutto per levarsi di torno quella negativa e deprimente, senza provare pietà o rincrescimento, ma solo fastidio, finché non ha raggiunto l'obiettivo.
E qui subentra un'altra dote da curare, la forza di volontà.
Termino con una sequenza di parole che considero come un mantra personale, sia da ricordare che da pronunciare fino a farlo diventare intima parte di noi.
serena attenzione
serena accettazione
e che la pace, la forza e la serenità ci assistano nella vita che ci attende.
rm

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