Riflessioni su alcuni fatti che hanno dato luogo alla celebrazione della Pasqua cristiana,
iniziate a scrivere come pendant al post del Sig. L. V., ma considerate via via sempre di più come i cavoli a merenda rispetto alla profondità dell'argomento del post e alla grossolanità del mio testo
Il mistero dell'Incarnazione e gli interrogativi che pone, al cospetto dei quali, del tutto disarmato di fronte a tali profonde riflessioni, mi ritroverei ad impersonare l'asino di Buridano.
Procedo quindi su quello che è alla mia portata e che si potrebbe paragonare all'accompagnamento fatto ad un insigne violinista, battendo alla buona le mani su un tamburello.
Una riflessione sulla celebrazione di un evento che prende in considerazione aspetti contrapposti, a seconda di come sono stati riportati dai cronisti dell'epoca e di come sono stati interpretati dalla sempre più ampia schiera di seguaci, con il nucleo rappresentato da un clero che via via si è strutturato in una gerarchia che ha assunto a dogmi inoppugnabili la documentazione che ha deciso che fosse quella ufficiale, i tre Vangeli definiti sinottici, di Marco, Luca e Matteo e il quarto attribuito ad un Giovanni di cui è controverso se sia stato l'unico autore.
Quattro testi che con le prime cognizioni che ci sono state impartite, siamo stati indotti (parlo per me e la mia grande ignoranza in merito) a considerare scritti contemporaneamente alla vita di Gesù Cristo, mentre la loro stesura si dipana oltre il primo secolo.
E' opinione degli storici odierni che il vangelo di Marco, redatto dopo il 70 d.c., sia il più antico e che ispiri successivamente il Vangelo di Matteo negli anni 80 e quello di Luca negli anni 90. Segue appresso il Vangelo di Giovanni, a cavallo tra il primo e il secondo secolo.
Da considerare poi che i nomi che identificano i vari testi, come già accennato per Giovanni, sono attribuzioni convenzionali non corrispondenti a persone reali.
La Pasqua festeggiata dagli ebrei come liberazione dalla schiavitù e trasformata dalla chiesa cristiana nella celebrazione della passione e della resurrezione di Gesù Cristo.
Segue un paradosso che mi ha sempre meravigliato.
Un messia ebreo, nato in Israele, con un seguito di seguaci tutti ebrei, il cui culto è agli inizi circoscritto nella terra d'origine, dà inizio a un movimento che sarà definito cristianesimo che, dopo qualche anno, sarà reso noto e pubblicizzato da Paolo di Tarso ed altri verso i gentili, ovvero i non ebrei.
Il clero che si forma per la coltivazione e la conversione a tale dottrina, nel quale gli ebrei rappresenteranno una percentuale sempre più esigua, incolperà il popolo ebreo in toto dell'uccisione di Gesù Cristo, un'accusa che si è tradotta nei secoli in un pregiudizio verso gli ebrei, che ha provocato esacrazioni e massacri a non finire fino ai giorni nostri.
Accuse che non tengono conto che la classe dominante rappresentata dal clero e dal regnante Erode Antipa, per l'autorità che potevano permettersi sotto il dominio romano, non potevano che vedere come un elemento sovvertitore e destabilizzante un uomo che predicava una dottrina del tutto aliena rispetto a quella del tempo, osservata dalla maggioranza del popolo d'Israele.
Consideriamo quanti, nel medio evo, hanno fatto sorgere correnti religiose volte a riportare il culto cristiano alla semplicità delle origini, che furono definiti eretici dalla chiesa ufficiale e spesso giustiziati
La goccia che fa traboccare il vaso è rappresentata dalla cacciata dei mercanti dal tempio, che ci è stata tramandata in modo molto supeficiale, sorvolando l'utilità e il bisogno che si aveva di cambiavalute e venditori di bestie sacrificali nel concomitante periodo della Pasqua.
Nel tempio non erano ammesse monete romane o greche per gli acquisti di animali ed altri generi e i cambiavalute sopperivano a tale inconveniente.
Il carico da 12 se lo becca poi il procuratore Ponzio Pilato che, per fare carriera (cursus honorum) si era sobbarcato il governo di una delle peggiori province soggette al dominio romano ed era del tutto incapace di comprendere la mentalità e le tradizioni di quel popolo.
Lui solo poteva decidere le esecuzioni capitali e una certa tradizione lo colloca in una posizione piuttosto impensabile per una figura del suo rango, quale che fosse il territorio da amministrare, facendogli impersonare la parte piuttosto fantasiosa ed impensabile di chiedere alla folla di scegliere, tra due condannati, quale fosse quello da graziare, in virtù della tradizione festiva, nella quale si usava graziare un condannato a morte.
Ce lo possiamo figurare, scocciato dall'ennesima bega nella quale si trova impelagato , dare il suo assenso all'esecuzione, per togliersi di torno il fastidio costituito dal sommo sacerdote Caifa e il clero a lui favorevole.
Insomma, una vicenda resa complessa dalle cronache di parte e dai fatti che gli storici continuano ad esaminare e che sempre meno vanno d'accordo con le prime.
Piuttosto digiuno in tali cronache, ho tratto spunto dal libro "Il grande romanzo dei Vangeli" di Corrado Augias e Giovanni Filoramo.
Alla luce dei pochi testi che ho letto sul misticismo cristiano, sul buddismo Zen, sul taoismo, sull'induismo, in un fricandò di cognizioni molto superficiali, mi chiedo che effetto possa fare la lettura del libro accennato ad una persona che ha dei dubbi sul considerarsi credente oppure no.
Per quanto mi riguarda, non ha fatto altro che rafforzare la mia convinzione che cercare di avvicinarsi ad un divino che inizia dentro di noi, nel mio caso consiste nel fare una vera e propria professione d'ignoranza, azzerando qualsiasi dogma o cognizione razionale che posso illudermi di aver acquisito.
Non mi ricordo se la prima volta lo lessi in John Blofeld, a proposito di una qualsiasi persona che si è inoltrata in un percorso spirituale e che il ricordare quando, nel passato, riteneva di appartenere ad una certa confessione religiosa, la faccia al massimo sorridere.
rm
p.s. Chi sarà stato il signor L.V.?
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